Gli scavi eseguiti alla fine degli anni Trenta sotto la piazza del Campidoglio, tra il
basamento di Marco Aurelio e il Palazzo Senatorio, per realizzare una galleria sotterranea che
mettesse in comunicazione i tre palazzi capitolini, hanno evidenziato una situazione
archeologica inaspettata; l'area era tradizionalmente identificata con l’asylum in cui Romolo
aveva radunato i rifugiati dai vicini villaggi per popolare la nuova città. Il piano della
piazza attuale è a circa 8 metri dal-livello di una strada antica che, salendo dal Campo
Marzio, percorreva il fondo di una stretta valle che si insinuava tra i due pendii del’arx e
delCapitolium: la strada era costeggiata da edifici in laterizio di età imperiale, l'ultimo
dei quali era caratterizzato da pilastri con mensole a sostegno di balconi. Il pendio dell’Arx
era poi occupato da strutture laterizie pertinenti a edifici a più piani che si disponevano ai
lati di una strada più alta di quella di fondo valle e diretta verso la sommità
dell'arar.-Potenti muri di terrazzamento in grandi blocchi di tufo sostenevano poi i pendii.
La strada proveniente dal Campo Marzio doveva girare verso il Capitolium costeggiando il
Tempio di Veiove e il Tabularium.
La Galleria Lapidaria
Nel 2005 è stato inaugurato all'interno della Galleria di Congiunzione il nuovo
allestimento di iscrizioni antiche, latine e greche, pertinenti alla prestigiosa collezione
epigrafica dei Musei Capitolini. Le pareti della Galleria furono utilizzate già negli anni
cinquanta del Novecento per alloggiare circa 1400 iscrizioni marmoree d età romana,
provenienti in parte dalle sale dell' Antiquarium del Celio, chiuso per ragioni statiche pochi
anni dopo l'apertura (1929), e in parte da nuove sistemazioni all'interno dei Musei
Capitolini. Questo allestimento fu inaugurato nel 1957 in occasione della visita in
Campidoglio degli studiosi riuniti a Roma per il III Congresso Internazionale di Epigrafia
Greca e Latina. Gravi problemi di infiltrazioni d'acqua e di umidità hanno portato nel corso
degli anni settanta del Novecento alla chiusura al pubblico della Galleria di congiunzione e
al progressivo distacco dalle pareti delle iscrizioni, per ovviare al rischio di un processo
di degrado del marmo con conseguente caduta della superficie iscritta dei reperti. Il
completamento di un ventennale lavoro di restauro e la costituzione di una banca dati
epigrafica digitale hanno costituito la base per l'elaborazione e l'attuazione del nuovo
progetto di allestimento delle iscrizioni, da tempo conservate in depositi comunali di diversa
dislocazione. Nell'ordinamento degli anni cinquanta le iscrizioni erano per lo più cementate
sulle pareti delle scale che scendono in Galleria e molte a notevole altezza: di conseguenza
si percorrevano le scale restando impressionati dalla quantità e dal fascino del reperto
antico, ma non c'era alcuna possibilità di comprensione dei testi, mancando per di più
qualsiasi ausilio didattico. Il nuovo allestimento coniuga oggi un alto livello di
scientificità con le più moderne istanze di fruizione. Il testo antico presenta certo problemi
di approccio più complessi rispetto alle opere scultoree o pittori che: manca il valore
estetico ed è difficile comprendere la testimonianza scritta e il suo significato. Per tali
ragioni la comunicazione delle informazioni nel nuovo percorso è stata strutturata su tre
livelli, che forniscono una conoscenza progressivamente più specifica: didascalia, con
trascrizione del testo antico; pannelli, consultazione informatica della banca dati
epigrafica. Altra peculiarità innovativa di questo allestimento è la creazione di uno
specifico percorso per i portatori di handicap visivo mentre un commento musicale "cattura" il
visitatore all'inizio del percorso espositivo nel Palazzo dei Conservatori e lo accompagna,
con musiche diversificate, fino al magnifico affaccio sul Foro Romano.
Il percorso
La particolare ambientazione dei reperti intende rievocare l'immagine di un'antica via
consolare romana sotto un ciclo notturno, in cui nelle costellazioni, in omaggio al contesto
epigrafico, le stelle hanno lasciato il posto a lettere dell'alfabeto latino e greco. Le 130
iscrizioni esposte appartengono in prevalenza all'allestimento della Galleria Lapidaria degli
anni cinquanta del Novecento. Sono state aggiunte altre epigrafi della collezione capitolina
per completare l'illustrazione delle tematiche scelte, relative ad alcuni aspetti della vita
sociale e privata del mondo romano. All'inizio del percorso si forniscono informazioni
sull'uso dei diversi linguaggi all'interno dell'impero romano, per addentrarsi poi nel mondo
del sepolcro, del culto, del diritto, del lavoro e del gioco, della viabilità e degli
acquedotti, della milizia e dell'aristocrazia romana, concludendo con uno dei reperti
epigrafici più noti e ricchi di significato della collezione capitolina, la Base dei
Vicomagistri, base di statua dedicata all'imperatore Adriano dai responsabili dei distretti
territoriali di cinque delle regiones in cui Augusto aveva diviso la città di Roma.
I linguaggi
Nella collezione epigrafica capitolina troviamo testimonianza dell'uso di linguaggi
differenti all'interno dell'impero romano. L'estendersi del potere di Roma a territori di usi
e costumi eterogenei aveva portato all'assimilazione dei linguaggi parlati in quelle terre.
L'interesse dello stato romano era di far giungere le informazioni al maggior numero di
persone possibile, per questo esso non osteggiò le lingue parlate dalle popolazioni
conquistate, ma al contrario permise che nei testi iscritti i linguaggi stranieri venissero
affiancati alla lingua ufficiale dello Stato: il latino. Particolare è Fuso della lingua
greca, idioma delle regioni orientali, che fu sempre considerato la seconda lingua
dell'impero. Un esempio assai noto del bilinguismo greco-latino è un atto ufficiale, una
deliberazione del Senato del 78 a.C. (senatus consultum de Asclepiade) riguardante personaggi
vissuti nelle province dell'Asia e della Macedonia, inciso su una tavola bronzea conservata
nella Sala delle Colombe del Palazzo Nuovo. Il testo è in latino seguito dalla relativa
traduzione in greco. Esempi di tale bilinguismo relativi a iscrizioni sepolcrali, sono qui
l'iscrizione del sepolcro di Lucius Vettenius Musa Campester e le stele di Licinia Selene e di
Aelios Melitinos. Sempre nel settore relativo al sepolcro si segnala anche la presenza di
greco e semitico in una lastra proveniente dalla catacomba ebraica di Monteverde. In questa
sezione si mostrano iscrizioni sepolcrali e votive di personaggi vissuti a Roma ma originari
di Palmira, città situata nella provincia della Siria, nelle quali la lingua palmirena si
affianca al latino e al greco. Reperti particolari, di cui esistono pochi altri esemplari a
Roma, ragione per la quale si è ritenuto opportuno mostrarli in questo ambito, sono i quattro
capitelli ed il frammento di colonna di età imperiale riutilizzati nel Cimitero giudaico di
Trastevere. Situato presso Porta Portese e noto con il nome di Campus ludeorum, fu il luogo di
sepoltura dei cittadini di religione ebraica dall'inizio del Medioevo fino al 1645, anno in
cui il papa Innocenze X, costatata l'insufficienza di spazio e le condizioni di degrado del
cimitero, concesse un nuovo luogo di sepoltura sull'Aventino. I reperti antichi, rilavorati
per essere probabilmente infissi nel terreno, mostrano epitaffi in lingua ebraica datati tra
il 1560 ed il 1576.
Il sepolcro
Il primo gruppo di reperti illustra diverse forme di monumenti connessi al sepolcro: dalla
semplice lastrina posta sulle pareti di un colombario (camera sepolcrale le cui pareti sono
cosparse di nicchie per le olle cinerarie) alle stele, dei segnacoli infissi nel terreno per
evidenziare la tomba, fissate mediante un palo stabilizzatore inserito in un foro o su una
base di sostegno, o anche utilizzate a parete nelle camere sepolcrali. Cinerari e are ossario
contenevano i resti del defunto cremato. Sulla facciata del monumento sepolcrale una
iscrizione (titulus maior) ne indicava la proprietà, mentre le mense sepolcrali, lastre forate
in modo da poter versare le libagioni durante i riti funebri, erano poste all'interno. Di
rilevante valore artistico il cinerario a forma di edicola con i ritratti dei defunti.
Interessanti informazioni giungono da questi testi epigrafici sulle caratteristiche delle
aree sepolcrali. Sono presenti giardini (cepotaphii) ed edifici all'interno di esse ed è
consuetudine delimitare il proprio terreno con cippi su cui si leggono le misure espresse in
piedi (un piede romano è pari a circa 30 centimetri) del fronte stradale (in fronte) e del
lato verso la campagna (in agro), talvolta anche dell'area stessa (in quadrato). Le camere
sepolcrali appaiono con le pareti ricoperte dalle nicchie perle olle cinerarie, situate anche
sul pavimento, dove sono alloggiate le mense per le libagioni. I monumenti funerari potevano
essere realizzati per volontà testamentaria (testamento), a cura dei propri eredi o tramite
collegi funeratizi. Il proprietario stabiliva chi potesse essere seppellito all'interno del
sepolcro, ed erano previste multe per i trasgressori (per il sepolcro di Aelius Saturninus la
multa è di 30 sesterzi). Norme giuridiche tutelavano l'area sepolcrale. Era considerato
sacrilego scavare presso una tomba e danneggiare in qualsiasi modo le olle contenute
all'interno delle camere sepolcrali. Nell'epigrafia funeraria colpiscono per le immagini
poetiche i testi scritti in versi (carmina), in lingua latina e greca. Dalla catacomba ebraica
di Monteverde presso la via Portuense provengono un rilievo con i simboli del culto ebraico e
l'epitaffio di Ammias, morta a ben 85 anni, che accanto al testo greco conserva la formula "in
pace" scritta nella sua lingua d'origine. Tra i testi cristiani, databili tra III e VI secolo
d.C., un'iscrizione ricorda l'acquisto di una tomba a due posti (locus bisomus), i fossori,
addetti alla realizzazione e alla vendita delle sepolture nelle catacombe, e il prezzo pagato.
Altre epigrafi conservano raffigurazioni legate al culto o anche oggetti di uso quotidiano. La
sacralità della tomba trova un'espressione molto incisiva nell'epitaffio di Gemmula, in cui si
invoca per chi osi violare il sepolcro la stessa sorte di Giuda.
Il culto
Queste iscrizioni costituiscono degli esempi di devozione alla divinità: dall'offerta al
dio venerato, fatta anche a seguito di un sogno, agli ex voto in lingua latina e greca.
Particolari le dediche di '"itus et reditus'"' (andata e ritorno), relative al buon esito di
un viaggio, e le iscrizioni riferibili ai bidentalia, i luoghi colpiti da un fulmine.
Considerati funesti, questi venivano recintati e in essi si nascondeva sottoterra una pietra
come simbolo del fulmine caduto. Il sacrificio di una pecora (bidens), il cui nome latino
allude probabilmente alla caratteristica del maggiore sviluppo di due denti, completava il
rito purificatorio.
Il diritto
L'epigrafia giuridica riguarda testi antichi inerenti disposizioni di legge a carattere
pubblico e privato iscritti su metallo, marmo e altri materiali. Il bronzo divenne comunque la
materia usuale, scelta per praticità d'uso e conservazione. Le disposizioni di legge, per
avere valore, non dovevano necessariamente essere rese pubbliche, ma talvolta le tabulae che
le contenevano venivano esposte a Roma in luoghi idonei, mentre in Italia e nelle province
dell'impero la pubblicazione degli atti avveniva esponendo il testo iscritto, copia di un
esemplare inviato dalla capitale. Questa sezione comprende testi giuridici che si datano
dall'età repubblicana (II secolo a.C.) al IV secolo d.C., riferibili a disposizioni di diversa
natura: due editti emanati da magistrati, una legge e un senatoconsulto (disposizione del
senato). L'editto del pretore Lucius Sentius, in carica tra il 93 e l'89 a.C., riguarda la
delimitazione dei luoghi dell'Esquilino, e vieta di bruciare cadaveri e depositare immondizie
all'interno del confine della città. Ne esistono altre due copie, una alla Centrale
Montemartini e l'altra nel Museo Nazionale Romano: la prima conservava tre righe dipinte, oggi
non più visibili, che dicevano ""porta via le immondizie per non essere punito". Simile nei
contenuti all'editto di Sentius e sempre inerente la tutela di un'area urbana ritenuta
dell'Esquilino è il senatoconsulto "De pago montano'1''. Il secondo editto, che riguarda le
frodi dei negozianti (IV secolo d.C.), il capo invece al praefectus Urbi, il funzionario a cui
spettava a Roma il potere giudiziario e di polizia e che proprio nel IV secolo, a seguito del
trasferimento del residenza imperiale in Oriente, divenne il vero responsabile della città. La
“Lex horreorum" (legge riguardante i magazzini), secondo la definizione contenuta nel testo,
tramanda un bando di locazione con il relativo capitolato per prendere in affitto dei locali
di proprietà imperiale.
Professioni e mestieri
La sezione inizia con gli apparitores di magistrati (personale subalterno loro assegnato),
un littore (lictor) e un messo consolare (viator consularis), un servo pubblico era invece
addetto a funzioni rituali nell'ambito di un collegio sacerdotale. Seguono esponenti
dell'amministrazione imperiale; alcuni rivestono mansioni legate alla gestione finanziaria,
quali un responsabile dell'ufficio per la riscossione delle tasse sulle importazioni ad
Alessandria d'Egitto (procurator ad anabolicum Alexandriae) e dell'ufficio per la riscossione
della tassa sulla legalizzazione dei documenti (ad rationem chartariam), o un archivista
impiegato in un ufficio pubblico che potremmo paragonare all'odierno ufficio del catasto
(tabularius mensorum aedificiorum). Tra le mansioni connesse al palazzo dell'imperatore
ricordiamo un addetto al controllo degli atti (contrascriptor), il curatore del patrimonio
dell'imperatore (procurator patrimonii Caesaris) e un archivista contabile (tabularius
castrensis). Molte sono le testimonianze di professioni private, di commercianti e di
artigiani: dal progettista e costruttore navale (architectus et faber navalis)
all'intagliatore di gemme (sculptor gemmarius) o il fabbricante di corone di fiori che aveva
il suo negozio sulla via Sacra nel Foro Romano (coronarius de Sacra via). Non mancano le
attività professionali che già nella società romana godevano di alto prestigio (honestae),
come quelle del medico (medicus) e dell'oculista (medicus ocularius). Da ultimo appare il
mondo del circo e dell'anfiteatro, con le iscrizioni degli aurighi delle fazioni verde (cursor
factionis prasinae) e azzurra (agitator factionis venetae) e la stele di Anicetus, gladiatore
armato di spada e specializzato nell'attacco (provocator spatharius).
Il gioco
Nella società romana, per i giochi da tavolo venivano usati piani portatili denominati
tabulae lusoriae (tavole da gioco, scacchiere). Gli esemplari più economici erano in legno,
quelli più pregiati in bronzo, marmo, come quelli che qui mostriamo, pietre semipreziose e
legni intarsiati. Molte tabulae lusoriae furono inoltre incise sulla pavimentazione di edifici
pubblici e sono tuttora visibili. I giocn1 più comuni erano il filetto, il gioco delle
fossette, il gioco delle dodici linee (duodecim scripta), il ludus latrunculorum (gioco dei
soldati o mercenari), un complesso gioco di guerra, simile al moderno gioco degli scacchi, e
giochi di composizione di lettere, come quello esposto detto "dei Reges". Il gioco delle
dodici linee si praticava su una tavola, per lo più marmorea, su cui erano scritte due parole,
composte di 6 caratteri ciascuna, disposte su tre righe, per un totale di 36 lettere (da ciò
il nome di "gioco delle 36 caselle"con cui è anche noto). Si utilizzavano tre dadi e trenta
pedine, quindici bianche e quindici nere; ogni casella poteva contenere più di una pedina. Il
giocatore poteva muovere da una a tre pedine: una pedina sommando il punteggio dei tre dadi,
due pedine, utilizzando per una il punteggio di due dadi ed il resto per la seconda, tre
pedine, con il punteggio di ogni singolo dado. L'intento del gioco era di far uscire per primo
dalla tavola le proprie pedine, scegliendo adeguatamente la somma o la scomposizione dei
numeri totalizzati con i dadi.
Viabilità e acquedotti
I tre testi epigrafici appartengono a quella categoria di iscrizioni che individuano
percorsi che possono essere connessi a tracciati viari o di acquedotti.
II testo più antico è un esempio di cippo itinerario che indica la presenza e il percorso
di una strada privata (iter privatum). Il miliario della via Prenestina, invece, è un esempio
dello stesso tipo di cippo, ma posto su una grande arteria pubblica, una delle vie consolari,
per indicare al passante la strada percorsa, espressa in miglia. I cippi di acquedotti, che si
trovano essenzialmente a Roma e nelle vicinanze, erano fabbricati in serie e lungo il
tracciato apparivano contraddistinti da un numero progressivo. La loro disposizione fu curata
a partire dall'età augustea dall'ufficio del curator aquarum, a cui era affidata la tutela
degli acquedotti e della distribuzione delle acque, mentre la concessione dell'uso dell'acqua
ai privati era prerogativa dell'imperatore.
Militari
Le due grandi basi dedicate dalla V coorte dei vigili, che aveva la propria sede presso la
chiesa di S. Maria in Domnica sul Celio, forniscono informazioni sull'organizzazione di questo
corpo. Comandati da un prefetto, i vigili svolgevano funzioni di polizia urbana notturna,
comprese le attività di sorveglianza dai furti di ladri e scassinatori e di repressione degli
incendi. Il corpo era composto in gran parte da liberti (schiavi liberati) suddivisi in sette
coorti, ciascuna di 1000 uomini. Il corpo di guardia prendeva il nome di excubitorium, e ne
esisteva uno per ogni regione urbana, la caserma invece era denominata statio. La stele
funeraria di Lucius Monneius Secundus offre un'immagine di un componente di questo corpo
militare, ed è dedicata da un soldato delle coorti urbane, create da Augusto con compiti di
polizia diurna. Guidate da un prefetto di rango senatorio, erano alloggiate nel Castro
Pretorio, insieme ai pretoriani. Solo con Aureliano (270-275 d.C.) gli urbaniciani ebbero una
caserma propria nel Campo Marzio.
La stele di Lucius Nonius Martialis ci riporta a un altro corpo militare operante a Roma,
quello degli statores Augusti, composto da due centurie assegnate al prefetto del pretorio,
che avevano funzioni di polizia e vigilanza, legate in particolar modo agli arresti. Gli
statores costituivano quindi una sorta di polizia giudiziaria. Al termine del servizio di leva
il soldato romano diveniva un veteranus, come si legge nella dedica incisa da Aurelius Dolatra
sull'abaco di un capitello, mentre evocatus era il militare, generalmente un pretoriano, che
dopo il normale servizio di leva ricopriva incarichi per lo più amministrativi. Le tre stele
di Rufus, Pronto e Vitalianus, databili tra il II ed il III d.C., si riferiscono al corpo dei
pretoriani, istituito da Augusto come guardia ufficiale dell'imperatore e sciolto da
Costantino (IV secolo d.C.) per aver appoggiato Massenzio nella battaglia di Ponte Milvio. Era
comandato da un prefetto di ordine equestre e composto da nove coorti, ciascuna di uomini
scelti dalle legioni, delle quali tre stazionavano a Roma e le altre in Italia. Tiberio riunì
tutte le coorti a Roma in un'unica caserma (Castro Pretorio), costruita appositamente tra la
vie Nomentana e Tiburtina. Le dediche agli dei patrii, come la grande base che ricorda il
contributo di venti denari e un quadrante di bronzo versato da ciascun soldato per l'offerta
alla divinità, provengono dall'Esquilino e testimoniano l'esistenza nel III secolo d.C. di un
luogo di culto legato a questo corpo militare. Il prefetto del pretorio era a capo di un altro
corpo militare, gli equites singulares, la guardia scelta a cavallo dell'imperatore, istituita
da Traiano o forse già dai Flavi, in sostituzione dei corporis custodes e sciolta da
Costantino sempre per aver parteggiato per Massenzio. Singolare è poi l'ara del cavaliere
Quintus Sulpicius Celsus, che ci fornisce un esempio di cursus honorum (elenco degli
incarichi) equestre, e cita una delle prefetture alle quali i cavalieri potevano accedere,
quella del Genio Militare. Il coperchio del cinerario di Marcus Iulius Saturninus e
l'iscrizione sepolcrale di Alagria Ingenua e dei suoi figli ricordano due centurioni di
legione.
L'aristocrazia romana
In epigrafia, le iscrizioni incise sulle due basi di statua vengono definite onorarie,
concepite cioè come dedica a un personaggio.
Entrambi i testi mostrano che l'esaltazione dell'operato del destinatario della dedica si
attua attraverso l'intero cursus honorum, l'elenco degli incarichi pubblici ricoperti, a cui
si aggiungono le qualità personali dei due leader politici: Quinto Aurelio Simmaco e Virio
Nicomaco Flaviano, tra i più noti esponenti della aristocrazia romana del IV secolo d.C. Le
famiglie dei Simmaci e Nicomachi furono a Roma le più rappresentative di quella parte della
classe senatoria legata alla difesa degli antichi valori della tradizione romana e del
paganesimo, in un periodo in cui il Cristianesimo si avviava ad avere, con l'imperatore
Costantino, la sua maggiore affermazione. Il rinvenimento delle due basi presso l'Ospedale
Militare del Celio ha contribuito ad avvalorare l'ipotesi della localizzazione della residenza
delle due famiglie sul colle, oggi confermata dagli scavi archeologici condotti
nell'area.
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