La Piazza di Campidoglio
Il prezioso disegno architettonico della piazza del Campidoglio che
si offre a chi sale dalla monumentale cordonata è il frutto di un geniale
progetto michelangiolesco, ma rappresenta anche l'esito di una storia
millenaria che ha individuato nel colle capitolino il centro religioso e
politico della città.
In origine il colle era caratterizzato da due alture boscose, l’Arx
e il Capitolium, separate da una piccola valle centrale nella quale la
tradizione pone il mitico Asylum, istituito da Romolo per accogliere gli
abitanti dei centri vicini. Ma le leggende tramandate sulle origini della
città appaiono oggi, alla luce delle ricerche condotte nell'area del
Palazzo dei Conservatori, più aderenti alla realtà storica e
scientificamente documentabili attraverso le testimonianze
archeologiche.
Sono emersi, infatti, strati archeologici relativi alla fase più
antica del Campidoglio, che mostrano tracce di frequentazione del colle a
partire dall'Età del Bronzo finale (1200-1000 a.C.): gli importanti
risultati degli scavi, ancora del tutto preliminari, hanno permesso di
riconoscere labili tracce di un insediamento al quale sono riferibili
anche alcune sepolture di bambini, nonché i resti di una diffusa attività
artigianale legata alla lavorazione dei metalli.
In età storica il Campidoglio si configura come la vera e propria
acropoli sacra della città: sul Capitolium venne edificato dagli ultimi re
della tradizione romana, i Tarquinii, il Tempio di Giove Capitolino,
inaugurato però nel primo anno dell'era repubblicana, il 509 a.C. Esso
divenne il simbolo della civiltà romana, replicato in tutte le nuove città
fondate da Roma e meta delle cerimonie trionfali in onore dei generali che
tornavano vittoriosi: una lunga processione che attraversava la città
facendo sfilare prigionieri e bottini di guerra approdava, attraverso la
via Sacra, al Tempio di Giove, nel nome del quale erano state intraprese
le campagne di conquista. Recenti indagini archeologiche hanno permesso di
mettere in luce le possenti fondazioni del tempio, perfettamente
conservate e inglobate nelle strutture del cinquecentesco Palazzo
Caffarelli. Sull'arx, l'altura che la tradizione assegna al popolo sabino
e sulla quale oggi sorge l'imponente mole della basilica dell'Aracoeli,
sorse il Tempio di Giunone Moneta, sede della zecca dello Stato
romano.
Alla fine dell'età repubblicana le pendici del Campidoglio verso il
Foro furono regolarizzate costruendo le possenti strutture del Tabularium,
sede dell'Archivio di Stato romano: l'imponente edificio rispettò il
preesistente Tempio di Veiove (196 a.C.), dalla caratteristica
disposizione trasversale, dedicato a questa misteriosa divinità vicina a
Giove e al mondo degli inferi.
Altri numerosi templi capitolini sanciscono la sacralità del colle
e, in età repubblicana, manifestano la contesa per la supremazia tra le
famiglie più importanti della nobiltà romana attraverso la costruzione di
edifici pubblici: oltre al Tempio di Giove Capitolino, le fonti riportano
nell'area l'esistenza di altri santuari dedicati a Giove Feretrio, a
Fides, a Mens, a venere Ericina, a Ops, a Giove Tonante, a Marte Ultore, a
Giove Custode. Nel medioevo gli edifici antichi sono caduti in abbandono,
ma il ricordo dell'antica grandezza si perpetua nella descrizione dei
Mirabilia: "Capitolium è chiamato perché era il capo di tutto il mondo,
perché vi abitavano i consoli e senatori per governare la città e il
mondo. Il suo volto era difeso da mura alte e solide, rivestite
interamente di vetro e oro e di opere mirabilmente intagliate. All'interno
della rocca sorgeva un palazzo, quasi tutto ornato d'oro e di pietre
preziose, che pare valesse la terza parte del mondo intero [...]". Le
strutture del Tabularium vengono trasformate in rocca dalla famiglia dei
Corsi: onde evitare che in questo luogo si insediasse un pericoloso centro
di potere, alternativo a quello costituito, i Corsi vengono cacciati prima
da Enrico IV (1084) poi da Pasquale II (1105). Nel 1130, con la bolla di
Anacleto II, la proprietà del colle Capitolino viene concessa ai
benedettini dell'Aracoeli.
La storia architettonica del Campidoglio si intreccia, per tutto il
medioevo, con le vicende delle istituzioni comunali: dal 1143/1144 - anno
di nascita del Comune romano - una rivoluzione antipapale (renovatio
Senatus) insedia in Campidoglio una magistratura collegiale di cinquanta
Senatori con funzioni di governo cittadino e giudiziale. All'inizio del
Duecento questa magistratura viene sostituita da quella di uno o due
Senatori affiancati da un Consiglio Comunale con potere deliberante. Nel
1299 il Palazzo Senatorio si trasforma con l'apertura di una loggia
affacciata sulla piazza che ospita il mercato; si sancisce così il
ribaltamento della prospettiva: mentre in età romana i monumenti
principali del colle sono rivolti verso il centro monumentale della città
(cioè verso il Foro), nel medioevo il Campidoglio si apre verso il Campo
Marzio. Nel 1363, con i primi statuti cittadini, si definisce la forma di
governo scelta dalla città: un solo Senatore straniero affiancato da tre
magistrati elettivi, i Conservatori, rappresentanti dei nuovi ceti sociali
giunti al potere.
Nel Quattrocento il Palazzo Senatorio appare come una fortezza
munita di torri -costruite da Bonifacio IX (1389-1404), Martino V (1427) e
Niccolo V (1447-1455) -mentre la facciata sulla piazza, munita di una
doppia scala, presentava tre finestre a croce guelfa e una loggia al
secondo piano; a quest'epoca deve anche risalire una trasformazione in
forma monumentale del vecchio palazzo dei Banderesi (capitani della
milizia cittadina) come sede dei Conservatori (documenti del XV secolo ne
attribuiscono la costruzione a Niccolo V).
La convivenza tra le istituzioni comunali e il papato non è sempre
pacifica, ma nel frattempo si sancisce la distinzione tra Campidoglio come
luogo della memoria e Vaticano come luogo del potere pontificio. Nel 1471
questa funzione del Campidoglio viene nobilitata dalla donazione di Sisto
IV al Popolo Romano dei grandi bronzi fino ad allora conservati nel
Patriarchio lateranense, decretando l'istituzione del più antico museo
pubblico del mondo: la Lupa, posta sulla facciata del Palazzo dei
Conservatori, diventa il simbolo della città, mentre nel portico esterno
viene sistemato il grande ritratto bronzeo di Costantino, con la "palla
Sansonis".
È sostanzialmente questo l'aspetto della "platea" Capitolina quando,
nel 1537, Paolo III Farnese commissiona a Michelangelo il trasferimento
dal Laterano e la sistemazione al centro della piazza della statua
equestre di Marco Aurelio, salvatesi dalla sistematica perdita dei bronzi
antichi perché creduto nel medioevo Costantino, primo imperatore
cristiano. Il progetto papale - fieramente osteggiato dai canonici
lateranensi e, pare, da Michelangelo stesso - fu realizzato l'anno
seguente; la presenza del nuovo fulcro al centro della piazza,
straordinariamente carico di significati simbolici e di valori storici, e,
insieme, foltissima "presenza" dal punto di vista spaziale, sancirà il
futuro aspetto della piazza Capitolina. Il programma di sistemazione
dell'area affidato dal papa al genio di Michelangelo, probabilmente già in
nuce all'epoca del trasferimento del grande monumento bronzeo di Marco
Aurelio, cominciò a prendere forma nei decenni successivi e non vide la
sua conclusione che più di un secolo dopo, con il completamento della
costruzione del Palazzo Nuovo. Il rinnovamento cominciò dal Palazzo
Senatorio che - pur conservando al suo interno i resti antichi del
Tabularium e le strutture medioevali e rinascimentali, segno della sua
ininterrotta vicenda edilizia - fu trasformato, nel lato verso la piazza,
da una imponente facciata, scandita da lesene di ordine gigante e da un
doppio scalone monumentale che permetteva di raggiungere il "piano
nobile", dove anticamente si apriva la loggia e dove si trovava l'aula del
Senatore. La facciata si arricchì poi di una fontana, ai lati della quale
furono poste le grandi statue dei Fiumi, rinvenute all'inizio del secolo
al Quirinale e giacenti sulla piazza, davanti alla facciata del Palazzo
dei Conservatori, fin dal 1513; al centro, in una nicchia, fu posta
un'antica statua in porfido di Minerva seduta, trasformata in dea Roma con
l'aggiunta degli attributi tipici della divinità; il programma decorativo
fu completato nel 1588. Dal 1563, sotto il pontificato di Pio IV, si diede
invece inizio alla trasformazione del Palazzo dei Conservatori. L'antica
facciata era caratterizzata da un lungo portico ad arcate su colonne e
connotata dalla presenza di due delle più prestigiose opere delle
collezioni capitoline: la Lupa e la testa colossale bronzea di Costantino.
La Lupa, assurta a simbolo civico in sostituzione del leone - dal medioevo
davanti al Palazzo Senatorio - e poi trasferita all'interno “in una loggia
coperta che riguarda sopra la città piana” (Aldrovandi), era stata
completata con una coppia di gemelli che la trasformavano da simbolo di
giustizia - ruolo che aveva rivestito presso il Laterano - a Mater
Romanorum.
La testa colossale era stata spostata all'interno del cortile, dove
andava a ingrossare le fila dei monumenti che anno dopo anno arricchivano
le raccolte capitoline di antichità. Il progetto di Michelangelo, che fu
portato a compimento solo dopo la sua morte, rinserrò la struttura
quattrocentesca del palazzo all'interno di un disegno geometrico scandito
da un ordine gigante di lesene corinzie; regolarizzò poi la forma del
cortile e inserì, all'interno del corpo dell'edificio, uno scalone
monumentale per raggiungere il livello superiore, in luogo della scala
esterna esistente nel cortile e visibile in alcuni disegni antichi;
modificò inoltre in qualche parte la disposizione interna delle sale.
L'andamento leggermente divergente della struttura del palazzo rispetto al
fronte del Senatorio e all'asse centrale della piazza - segnato dalla
statua equestre di Marco Aurelio - suggerirono di completare il disegno
architettonico della piazza progettando un palazzo gemello sul lato
opposto, ugualmente divergente in modo da accompagnare lo sguardo di chi
saliva al Palazzo Senatorio dall'ampia cordonata proveniente dal Campo
Marzio (anch'essa ripensata), in un programma urbanistico di equilibrio ed
eleganza straordinari.
La concezione del progetto, testimoniata da una serie di incisioni
di Etienne Dupérac (datate 1567-1569), troverà il suo logico completamento
solo con la costruzione del Palazzo Nuovo, sulla sinistra della piazza
fino ad allora limitata dal muragliene di sostegno della grandiosa
basilica dell'Aracoeli; nel 1596, su disegno di Giacomo della Porta, fu
sistemata su questo lato la grandiosa fontana del Martorio; ma solo nel
1603, sotto il pontificato di Clemente VIII, avvenne la posa della prima
pietra dell'edificio, che seguiva, con piccole varianti, il progetto
michelangiolesco. Dopo tormentate vicende edilizie il lavoro fu portato a
termine con papa Alessandro VII nel 1667, ma l'inaugurazione della nuova
sede museale, destinata ad accogliere le collezioni capitoline di
antichità, dovette attendere il 1734 e il pontificato di Clemente XII. A
questo punto la piazza del Campidoglio aveva progressivamente raggiunto
l'aspetto definitivo: la balaustra che prospetta verso il Campo Marzio si
era andata arricchendo delle due grandi statue dei Dioscuri, rinvenute
nella zona del Ghetto, degli imponenti "Trofei di Mario", rimossi dalla
grande fontana monumentale dell’Esquilino, e delle statue di Costantino e
del figlio Costantino II, qui trasferite dall’Aracoeli. Un ultimo elemento
mancava al completamento del progetto michelangiolesco: il prezioso
disegno pavimentale stellato, che compare nelle incisioni di Dupérac ma
che venne realizzato solo nel 1940. L'occasione fu offerta dai grandi
lavori che, insieme all'isolamento dell'intero colle Capitolino, permisero
di scavare una galleria sotterranea di collegamento fra i tre palazzi che
si affacciano sulla piazza. La realizzazione della nuova pavimentazione -
ispirata, sebbene non perfettamente aderente, al disegno di Michelangelo -
chiuse il capitolo della definizione di uno spazio architettonico
pienamente coerente e "perfetto" che aveva richiesto secoli di
elaborazioni e aggiustamenti. In questo senso il Campidoglio rappresenta
un complesso museale di straordinaria valenza storica e culturale: ne
fanno organicamente e armonicamente parte la piazza, i palazzi, le
collezioni archeologiche e storico-artistiche, e ora, con la riapertura
del collegamento sotterraneo, anche i principali monumenti antichi.
La formazione delle raccolte
La formazione delle raccolte capitoline di antichità si inquadra nel
più vasto fenomeno che a partire dal XV secolo interessa il patrimonio
archeologico dell'antica Roma, sentito non più in funzione di un
potenziale riuso, ma come oggetto di interesse antiquario e
collezionistico.
La donazione da parte del pontefice Sisto IV, nel 1471, di quattro
celeberrime sculture in bronzo - la Lupa, lo Spinano, il Camillo, la testa
bronzea di Costantino con la mano e il globo - fino a quel momento
collocate davanti al Patriarchio lateranense e perciò simbolo di
continuità tra la Roma imperiale e il potere temporale della Chiesa, segna
l'inizio del rifluire sul Campidoglio di antiche opere scultoree e la
nascita del complesso museale capitolino. Secoli di devastazione e di
abbandono, seguiti alla caduta dell'impero romano, avevano infatti
completamente spogliato il colle dei templi, degli archi onorari e delle
statue che avevano reso celebre il Capitolium fulgens, ricordato con
stupore dagli scrittori romani di epoca tarda. Le opere che avevano
costituito il thesaurus Romanitatis, una sorta di eredità del mondo antico
che la Chiesa aveva raccolto e gelosamente custodito per tutto il
medioevo, venivano ora, con gesto fortemente simbolico, restituite ai
Romani per essere collocate sul colle sacro alle memorie storiche.
Di questo evento rimane memoria nella lunga iscrizione ancor oggi
conservata nella lapide posta all'ingresso del Palazzo dei Conservatori:
essa costituisce il prezioso atto di nascita del complesso museale
capitolino, ricordando il munifico dono che, "ob immensam benignitatem"
Sisto IV volle fare al Popolo Romano. Con sapiente regia, nel procedere
del testo, viene infatti precisato che non si tratta di una semplice
donazione, ma di una vera e propria "restituzione" delle insigni opere
bronzee, testimonianza dell'antica grandezza di quello stesso popolo
romano che le aveva create: "Aeneas insignes statuas - priscae
excellentiae virtutisque monumentum - Romano populo unde exorte fuere
restituendas condonandasque censuit".
Il prezioso dono sistino è chiaramente volto ad affermare il
predominio della potestà pontificia sul Campidoglio mediante la
consacrazione di questo antico colle a simbolo della memoria storica di
Roma, in contrapposizione al ruolo ad esso attribuito di centro propulsore
dell'autonomia civica, tenacemente difeso dalla magistratura capitolina.
Ha inizio in questo modo un confronto - che si servirà del linguaggio dei
simboli - tra il potere papale e quello comunale, che porterà, nell'arco
di un secolo, alla completa trasformazione della piazza Capitolina. Due
vedute cinquecentesche, un disegno di Marten van Heemskerck e un affresco
nella Sala delle Aquile del Palazzo dei Conservatori, documentano con
grande fedeltà lo stato dell'area nella prima metà del Cinquecento, ancora
caratterizzato dall'assetto medioevale. Il piccolo affresco testimonia,
peraltro, l'inizio del processo di trasformazione determinato con il
trasferimento dal Laterano, nel 1538, della statua equestre di Marco
Aurelio, che diverrà il punto focale del programma di risistemazione
architettonica della piazza voluto da Paolo III e progettato da
Michelangelo.
Nel disegno di Heemskerck, solo di qualche anno più antico, è ancora
presente nella sua collocazione medioevale, in cima allo scalone di
accesso al Palazzo Senatorio, il gruppo del "Leone che azzanna il
cavallo". Quest'opera, divenuta simbolo del potere giuridico dell'autorità
senatoria, era l'unica scultura antica presente sul Campidoglio prima
della donazione di Sisto IV: essa caratterizzava il locus iustitiae, già
ricordato nei documenti trecenteschi, presso il quale si pronunciavano e
talvolta si eseguivano le sentenze capitali. Con la sistemazione della
facciata del Palazzo Senatorio, in occasione della trasformazione della
piazza Capitolina in chiave monumentale, questa scultura entrerà a far
parte delle collezioni capitoline di antichità.
Nello stesso disegno, oltre alla testa bronzea di Costantino
collocata all'interno delle arcate, compare sulla facciata del Palazzo dei
Conservatori la statua della Lupa, trasferita, per volontà di Sisto IV,
dal campus Lateranensis. Le figure dei gemelli furono aggiunte, a opera di
un artista non ancora identificato, prima del 1509. Si volle con questo
intervento cancellare definitivamente il carattere sinistro di simbolo di
giustizia che la Lupa aveva avuto in Laterano e sottolinearne invece
quello di Mater Romanorum, più consono a un'opera divenuta ormai emblema
del potere comunale. Tra la data di esecuzione del disegno (1532-1537) e
quella dell'affresco (1541-1543) la Lupa fu spostata all'interno del
palazzo "in porticu interiori prope aulam” ossia nell'ambiente porticato
che si apriva all'estremità destra del palazzo, presso la sala principale
detta ora "degli Orazi e Curiazi". Tra la fine del Quattrocento e la metà
del XVI secolo giungono in Campidoglio importanti opere di scultura
antica, creando davanti al Palazzo dei Conservatori una cospicua raccolta;
con questo patrimonio antiquario di grandissimo valore storico e artistico
si consolida il ruolo del colle Capitolino come museo pubblico di
antichità. Tra le prime opere destinate ad accrescere il nucleo originario
dei bronzi donati da Sisto IV, un ruolo di grandissima importanza riveste
la statua bronzea di Ercole, trovata all'epoca dello stesso Sisto IV nel
Foro Boario e acquistata dai Conservatori, che la sistemarono su un'alta
base davanti al loro palazzo come "monumento della gloria di Roma". Questa
statua, copia da un originale greco del IV secolo, fu successivamente
spostata, prima nel cortile, dove la vide lo Heemskerck, e poi trasferita
all'interno, nell'Appartamento dei Conservatori (cfr. U. Aldrovandi, Delle
statue antiche che per tutta Roma in diversi luoghi e case si veggono,
Venezia 1556, p. 273).
Nel 1513 furono poste al lati dell'ingresso del palazzo le due
colossali statue di divinità fluviali, provenienti dalle terme
costantiniane sul Quirinale: queste sculture di età traianea entrarono a
far parte, nel 1588-1589, dell'apparato scultoreo del monumentale scalone
d'accesso al Palazzo Senatorio.
Di poco successiva (1515) è l'acquisizione dei tre grandi pannelli
ad altorilievo con scene relative alla vita di Marco Aurelio, appartenenti
alla decorazione scultorea che ornava un monumento celebrativo innalzato
all'imperatore in occasione del trionfo del 176 d.C. Questi rilievi
segnano una delle espressioni più alte della scultura a soggetto storico
che l'arte romana ci abbia tramandato: le scene con la sottomissione dei
barbari, il trionfo e il sacrificio davanti al Tempio di Giove Capitolino
sono inoltre documenti di eccezionale valore destinati a rappresentare
l'ideale continuità tra il mondo antico e il Campidoglio rinascimentale.
Conosciamo con sufficiente precisione l'articolazione delle raccolte
capitoline agli inizi del XVI secolo grazie alle opere di F. Albertini,
l’Opusculum de Mirabilibus, del 1510, e all'Antiquaria Urbis del Fulvio,
del 1513.
Sappiamo infatti che all'inizio del Cinquecento gran parte delle
sculture furono sistemate all'interno del Palazzo dei Conservatori, mentre
quelle di maggior mole trovarono posto nel cortile. Questo - che oggi
vediamo nel suo assetto settecentesco, modificato rispetto a quello
rinascimentale con l'aggiunta del portico sulla parete di fronte
all'ingresso, ove fu collocata la Roma Cesi e le statue dei barbari in
marmo bigio - ospitò sul lato destro l'Ercole del Foro Boario e i resti
del grande acrolito di Costantino della Basilica di Massenzio; sul lato
sinistro furono invece collocati i tre rilievi di Marco Aurelio, fatti
trasferire da Leone X dalla chiesa dei Santi Luca e Martina al Foro
Romano. Nel 1594 la testa dell'acrolito di Costantino fu collocata sul
timpano che sovrastava la Fontana di Marforio, posta a decorare il
muraglione di sostegno della chiesa dell'Aracoeli. Il ritratto colossale
ritornò definitivamente nel cortile dei Conservatori nel 1659, come è
testimoniato da un disegno di Stefano della Bella.
Nel 1541 fu sistemata sul prospetto principale del cortile, entro
una nicchia di fronte all'ingresso, una grande statua di Atena scoperta e
donata alla magistratura civica al tempo di Paolo III. Qualche tempo dopo
questa statua fu al centro di una vivace querelle nel momento in cui,
sotto Sisto V, venne utilizzata come elemento centrale della decorazione
dello scalone michelangiolesco del Palazzo Senatorio. La colossale
scultura doveva essere già stata rimossa dalla parete di fondo del cortile
per consentire la sistemazione dei frammenti dei Fasti Consolari,
ritrovati nel 1546 nel Foro Romano, e donati qualche anno dopo dal
cardinal Farnese al Popolo Romano. Dalla testimonianza di Onofrio Panvinio
risulta che lo stesso Michelangelo prestò la sua opera per la
ricomposizione dei frammenti recuperati e per la loro sistemazione
architettonica in Campidoglio: i Fasti Capitolini, trasferiti nel 1583
nell'attuale Sala della Lupa, furono rimontati secondo il progetto
michelangiolesco, che tuttavia subì in questa occasione profondi
rimaneggiamenti. Le notizie di cui disponiamo per la storia più antica
della collezione fotografano la situazione delle collezioni capitoline
alla vigilia di due avvenimenti straordinari, che ne determinarono una
radicale trasformazione: con il 1563 ebbero infatti inizio i lavori per il
rinnovamento del Palazzo dei Conservatori e la conseguente risistemazione
delle opere ivi conservate, mentre nel 1566 vennero acquisite le opere
donate al Popolo Romano da Pio V nell'intenzione di "purgare il Vaticano
dagli idoli pagani". Anche se il programma iniziale del Pontefice di
cedere circa 150 statue delle collezioni vaticane fu poi notevolmente
ridimensionato, tuttavia un numero considerevole di opere, originariamente
collocate nel Teatro del Belvedere, giunse in Campidoglio e andò in parte
ad arricchire lo "statuario", successivamente ospitato al piano terreno
del Palazzo dei Conservatori. Alcune statue furono invece poste sulla
vecchia torre campanaria del Palazzo Senatorio e sulla facciata dello
stesso edificio, in attuazione del progetto di Michelangelo, secondo
quanto documentato dalle incisioni di Dupérac. Con la ristrutturazione del
Palazzo dei Conservatori le opere già nella collezione capitolina e altre
donate o acquisite successivamente poterono trovare un'idonea
sistemazione. Sculture di gran pregio entrarono a far parte delle raccolte
nella seconda metà del XVI secolo: tra queste le due statue di Giulio
Cesare e del Navarca, il Bruto Capitolino e la Lex de imperio Vespasiani.
Questo straordinario cimelio fu collocato nel 1568 nella Sala degli Orazi
e Curiazi, dove avevano anche trovato posto la mano e il globo di
Costantino, provenienti dal portico esterno del palazzo. Nel cortile,
anch'esso completamente ristrutturato, furono sistemati sia il grande
sarcofago di Alessandro Severo, acquisito nel 1590, sia il gruppo del
Leone che azzanna il cavallo, restaurato in questa occasione da Ruggero
Bescapè. Una volta completati i lavori di ristrutturazione del Palazzo dei
Conservatori si procedette a una nuova sistemazione dei rilievi di Marco
Aurelio, che vennero murati sul primo ripiano dello scalone dove ancora
oggi si trovano. Solo molti anni più tardi dovevano essere collocate sulla
balaustra che chiude la piazza verso la cordonata le due statue colossali
dei Dioscuri: queste, rinvenute intorno al 1560, furono erette con grande
difficoltà sui rispettivi piedistalli a causa della notevole
frammentarietà delle opere che rese necessario un impegnativo restauro,
iniziato nel 1582 e durato molti anni. L'opera di abbellimento della
balaustra che chiude la piazza capitolina verso la cordonata fu continuata
all'epoca di Sisto V con la sistemazione, nel 1590, dei cosiddetti "Trofei
di Mario" che ornavano, in antico, la fontana monumentale eretta da
Alessandro Severo sull'Esquilino; in questa occasione furono anche posti
ai piedi della cordonata due leoni egizi.
Secondo quanto rilevato dal Michaelis "il secolo decimosettimo fu
altrettanto infruttuoso, riguardo all'ingrandimento della collezione,
quanto il precedente era stato fecondo". Il diffondersi del collezionismo
privato e la nascita delle grandi raccolte dei palazzi patrizi assorbivano
infatti quanto di meglio si trovava sul mercato antiquario. Un disegno di
Stefano della Bella, successivo al 1659, da un'idea del sovraffollamento
che caratterizza il cortile, ma che doveva interessare in maniera del
tutto analoga anche le sale del Palazzo dei Conservatori, rendendo
complesso lo svolgimento delle funzioni dell'antica magistratura civica
che quegli ambienti aveva in uso come sede di ufficio e di rappresentanza.
La destinazione museale del Palazzo Nuovo - la cui costruzione sul lato
sinistro della piazza, avviata sotto Clemente Vili nel 1603, fu portata a
termine solo una cinquantina di anni più tardi a opera di Carlo Rainaldi -
fu definita solo nel 1733 con l'acquisto da parte di Clemente XII della
Collezione Albani. Nei decenni precedenti questo edificio era già stato
occupato da un cospicuo numero di statue provenienti dal Palazzo dei
Conservatori: a queste e al nucleo principale della Collezione Albani,
caratterizzata da una straordinaria raccolta di ritratti di uomini
celebri, di filosofi e di imperatori, si aggiunsero, subito dopo
l'inaugurazione del museo, nel 1734, ulteriori donazioni da parte dello
stesso Clemente XII e di Benedetto XIV.
Dal Galata morente (1734) al Satiro in rosso antico (1746), al
gruppo di Amore e Psiche e infine alla celebre Venere Capitolina (1750),
numerose opere, già in collezioni private o di recente rinvenimento,
andarono ad arricchire le sale ornate con gli stemmi di Innocenze X e
Alessandro VII.
Nel 1744 la Forma Urbis marmorea, di epoca severiana, fu donata da
Benedetto XIV e sistemata, ripartita in ventisei riquadri, lungo lo
scalone che porta al primo piano del museo. Questo eccezionale documento
storico-topografico, scoperto due secoli prima presso la chiesa dei Santi
Cosma e Damiano, rimase nel Museo Capitolino fino agli inizi di questo
secolo. Tra le ultime pregevoli acquisizioni, sono da annoverare i due
Centauri in bigio morato, collocati al centro del Salone, e il finissimo
Mosaico delle Colombe, tutti provenienti dalla villa dell'imperatore
Adriano presso Tivoli e donati da Clemente XIII nella seconda metà del
Settecento. Il Museo Capitolino rappresenta una testimonianza
straordinaria di ordinamento museale settecentesco che ha conservato nel
tempo, quasi inalterato, il suo aspetto originario: questo è
immediatamente riscontrabile nel confronto delle sale con disegni del
XVIII e XIX secolo. Nell'incisione di Natoire (1759), raffigurante l'atrio
del museo e il cortile, è evidenziata la Fontana del Marforio nella sua
nuova sistemazione settecentesca, mentre nella litografia del Benoist
(1870) è visibile nel passaggio verso la Galleria l'Ercole in bronzo
dorato già nel cortile del Palazzo dei Conservatori.
La disposizione originaria delle opere all'interno delle sale, con
la loro articolazione per categorie, e la peculiarità dei criteri di
restauro che hanno determinato la ricostruzione e l’interpretazione delle
sculture antiche, contribuiscono a evidenziare il carattere particolare
della raccolta, come testimonianza del colto collezionismo dei secoli
passati.
L'istituzione nel 1771 del Museo Pio Clementino in Vaticano segnò,
per l'incremento delle raccolte archeologiche capitoline, una pesante
battuta d'arresto: l'attenzione dei pontefici fu infatti, da quel momento,
interamente rivolta al nuovo museo. La situazione si fece drammatica per
il complesso museale capitolino quando con il trattato di Tolentino, nel
1797, molte tra le più celebri opere delle collezioni civiche, furono
trasferite in Francia. Solo il tenace interessamento del Canova consentì,
dopo la caduta di Napoleone, nel 1815, che le opere principali tornassero
in Italia. Fu così che lo Spinario, il Bruto, la Venere Capitolina e il
Galata morente poterono essere ricollocati nelle loro sedi originarie. Per
volontà di Gregorio XVI, nel 1838, il Museo Capitolino fu restituito alla
magistratura civica, ma fu depauperato della ricca collezione di sculture
egizie e acquisì, in cambio, alcune opere tra le quali il sarcofago
Amendola e l'Atena tipo Velletri. Poche ma significative furono le
acquisizioni nei primi settant'anni del XIX secolo: particolarmente
rilevante il gruppo di grandi bronzi rinvenuti nel vicolodelle Palme a
Trastevere (1848), la collezione dei vasi greci ed etruschi donata da
Augusto Castellani e soprattutto un raccolta di monete antiche che andò a
costituire il nucleo principale del Medagliere Capitolino.
Il 1870, con il trasferimento a Roma della capitale del nuovo regno
d'Italia, e gli avvenimenti di fine secolo segnarono una tappa
fondamentale nella vita e nello sviluppo della città, che si riflette in
maniera molto evidente nella trasformazione e nell'ampliamento del
complesso museale capitolino. Infatti, anche l'ordinamento delle
collezioni archeologiche, che aveva trovato nel Palazzo Nuovo il suo polo
principale con una grande raccolta di scultura antica, subì un profondo
mutamento. Il prevalente carattere antiquario delle raccolte, formatesi
per donazioni o acquisti, fu infatti sostituito, grazie al rilevante
apporto di materiali provenienti dagli scavi in ambito urbano, da
un'impostazione di carattere scientifico. La febbrile attività edilizia e
i conseguenti lavori di sbancamento di vaste aree periferiche, intrapresi
dalla nuova classe politica per dotare la capitale degli edifici pubblici
e dei quartieri residenziali necessari alle mutate esigenze, portarono
infatti al recupero di un'ingente quantità di materiale
archeologico.
Un nuovo settore museale nacque così nel Palazzo dei Conservatori,
che aveva perso la sua funzione di sede ufficiale dell'omonima
magistratura civica e potè consentire anche l'allestimento di un
padiglione ligneo per una temporanea presentazione delle opere recuperate
nei grandi sterri eseguiti in ambito urbano. Un ampliamento e una nuova
sistemazione di questo settore del Museo del Palazzo dei Conservatori
furono curati da Rodolfo Lanciani nel 1903; si rese così possibile un
migliore ordinamento dei materiali secondo nuovi criteri museografici,
volti a sottolineare l'importanza dei dati di scavo. Le opere furono
quindi distribuite nelle sale a seconda dei contesti di provenienza,
privilegiando una lettura più articolata del dato archeologico rispetto a
una visione di stampo "antiquario" che tendeva a sottolineare il valore
estetico delle sculture come capolavori dell'arte antica. Negli anni del
Governatorato, e in particolare tra il 1925 e il 1930, si realizzò un
profondo rinnovamento delle strutture museali capitoline che portò, con
l'acquisizione di Palazzo Caffarelli, già proprietà austriaca, alla
costituzione di un nuovo settore museale. Il Museo Mussolini, che prese
successivamente il nome di Museo Nuovo, fu allestito con opere scultoree
provenienti anch'esse dai ritrovamenti ottocenteschi o trasferite in
questa occasione dall'Antiquarium Comunale al Celio. La sistemazione delle
opere non seguì, in questo caso, il nuovo ordinamento topografico voluto
dal Lanciani per il Museo del Palazzo dei Conservatori, ma un criterio
espositivo volto a ripercorrere le tappe più significative dell'arte greca
attraverso copie romane ispirate a originali greci. Nello stesso tempo
sorgeva nel 1929 sul Celio il nuovo Antiquarium, ampliato negli spazi e
completamente rinnovato nei contenuti espositivi, incentrati sulle
testimonianze relative alla storia più antica della città, dalle origini
all'età repubblicana, con gli oggetti della vita quotidiana a Roma in
epoca imperiale.
Dopo questo momento di rinnovamento delle strutture museali
capitoline, salutato con grande favore anche dal mondo accademico
contemporaneo, nuovi gravi problemi interessarono le raccolte poste sotto
la giurisdizione del Governatorato: l'inagibilità della sede
dell'Antiquarium al Celio a partire dal 1939 e la notevole quantità di
materiali di grande rilevanza artistica e scientifica recuperati in varie
parti della città, ma soprattutto intorno alle pendici del Campidoglio in
occasione dell'isolamento del colle, riproposero con grande urgenza il
problema di reperire nuovi spazi per l'ampliamento della sede
museale.
Solo nel 1956 la creazione di un nuovo settore del Palazzo dei
Conservatori, il Braccio Nuovo, consentì l'esposizione di alcune sculture
di grandissimo significato appartenenti a monumenti repubblicani o
primo-imperiali recuperati alle pendici del Campidoglio e negli scavi di
largo Argentina. Nello stesso periodo fu utilizzata, come sede espositiva
della Raccolta Epigrafica, la galleria sotterranea esistente al di sotto
della piazza Capitolina, che costituisce lo straordinario asse di
collegamento tra il Palazzo dei Conservatori, il Palazzo Nuovo e il
Palazzo Senatorio con il Tabularium e il Tempio di Veiove. Alla storia
delle raccolte capitoline, che sembravano aver ottenuto con gli
ordinamenti del dopoguerra il loro assetto definitivo, si può invece
aggiungere un altro significativo capitolo. Il procedere degli studi e
delle ricerche all'interno del museo e nei numerosi depositi a esso
correlati ha portato infatti, in questi ultimi decenni, a importanti
acquisizioni di opere e complessi scultorei e all'esigenza di nuove
presentazioni per quelli già noti. I lavori di ristrutturazione dei Musei
Capitolini, articolati in successivi momenti attuativi, hanno portato, da
un lato, alla creazione di una nuova sede museale decentrata, la Centrale
Montemartini, e, dall'altro, al recupero e alla creazione di nuovi spazi
nell'ambito dello stesso complesso museale. La Centrale Montemartini,
destinata inizialmente a essere solo uno spazio espositivo temporaneo per
le raccolte capitoline, è diventata invece sede permanente per un settore
delle collezioni. La scoperta dei grandiosi resti del Tempio di Giove
Capitolino all'interno delle sale del Museo Nuovo, avvenuta nel corso dei
lavori di ristrutturazione, ha infatti determinato l'impossibilità di
riallestire questi spazi museali secondo il vecchio ordinamento,
individuando proprio nella Centrale Montemartini la sede ideale per la
presentazione al pubblico delle sculture. L'eccezionale ampiezza e
luminosità degli spazi, e il suggestivo contrasto tra i vecchi macchinari
della centrale elettrica perfettamente conservati e il nitore delle
sculture classiche costituiscono gli ingredienti irrinunciabili per la
piena fruibilità di un patrimonio artistico straordinario. Tra questo, un
posto di primo piano riveste il complesso architettonico del Tempio di
Apollo Sosiano, recentemente recuperato nella sua articolazione
monumentale grazie proprio alla disponibilità di spazi idonei.
L'ampliamento degli spazi espositivi dei Musei Capitolini e il nuovo
ordinamento delle collezioni nell'ambito del Palazzo dei Conservatori e
del complesso Clementino-Caffarelli hanno portato alla musealizzazione del
gruppo equestre del Marco Aurelio, a una coerente presentazione dei
complessi scultorei, riordinati a seguito di accurate ricerche storiche e
d'archivio, e a un'inedita esposizione dei materiali relativi al
Campidoglio antico.
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