II primo a colonizzare l'Esquilino come sede di residenze di lusso
fu, secondo le fonti letterarie, Mecenate, il quale portò a termine la
bonifica della zona precedentemente occupata da un millenario sepolcreto
con un'operazione urbanistica celebrata da Grazio. L'area dell'antica
necropoli esquilina fu infatti ricoperta da uno spesso interro, che
consentì di trasformare una zona malfamata in un'area residenziale di
straordinario prestigio. Della sontuosa dimora, fatta costruire nella
seconda metà del I secolo a.C. da questo illustre personaggio amico e
consigliere di Augusto, gli scavi ottocenteschi hanno messo in luce pochi
resti: l'unico ambiente attualmente conservato è il cosiddetto Auditorium,
probabilmente un triclinio estivo semiipogeo e decorato da affreschi
riferibili a due fasi: la prima del 40 a.C., attribuibile allo stesso
Mecenate, e la seconda del primo decennio d.C. quando la villa era già
passata sotto la proprietà imperiale. Gli affreschi, purtroppo mal
conservati, rappresentano vedute di giardini nei quali sono inserire
piccole sculture e fontanelle, quasi a voler annullare la mancanza di
aperture sull'esterno della grande sala.
In età neroniana la villa che si estendeva a cavallo delle mura
serviane, evidentemente non più funzionali alla difesa della città,
costituì una sorta di continuazione dell'immensa estensione territoriale
occupata dalla Domus Aurea. E così il Palazzo imperiale sempre più simile
alle regge dei sovrani ellenistici, amplificava gli spazi a sua
disposizione "specializzando" i diversi nuclei edilizi a seconda della
loro funzione: la zona del Palatino destinata a sede di rappresentanza, i
settori dell'Oppio e dell'Esquilino connotati come ville di piacere.
Famosa la battuta che circolava a Roma dopo la costruzione della Domus
Aurea e riportata da Svetonio: "Roma diverrà la sua casa: migrate a Veio,
Romani, ammesso che questa casa non inglobi anche Veio!". Da una torre
situata nella zona più elevata degli Horti di Mecenate, sembra, Nerone
assistette allo spettacolo dell'incendio di Roma. Estremamente
problematica risulta la ricostruzione dell'apparato decorativo di questa
residenza, dal momento che la maggior parte delle sculture emerse dagli
scavi era stata reimpiegata come materiale da costruzione in murature
tardoantiche o altomedievali. Particolarmente significativo, considerati
gli interessi del padrone di casa, appare il ritrovamento in questa zona
di una serie di erme con ritratti attribuibili a personaggi della cerchia
letteraria ed esposti nella Sala VI: una presenza di grande rilievo in
connessione con l'attività di Mecenate, noto come protettore delle aiti, e
soprattutto in relazione a quanto ci tramandano le fonti letterarie
sull'arredo scultoreo delle case dei personaggi più in vista. Nella casa
di un intellettuale (come nel caso di Mecenate) o di un aspirante tale,
non poteva infatti mancare una biblioteca, decorata dalle immagini dei più
famosi letterati greci e latini. Nel programma decorativo di questa
residenza immersa nel verde ben si inseriscono i piccoli rilievi con scene
idilliche e il raffinatissimo esempio di arte neoattica rappresentato
dalla fontana a forma di rhytón firmata dall'artista Pontios, che trova un
immediato riscontro tematico nel bellissimo rilievo con Menade danzante,
replica neoattica del donario votivo coregico per le Baccanti di Euripide
creato da Kallimachos nel 406-405 a.C.
Il programma decorativo scultoreo degli horti comprendeva anche
opere di straordinario impegno artistico come quelle esposte nella Sala
VI; tra di esse la testa di Amazzone, copia da un famosissimo originale
greco del V secolo a.C., e la bellissima statua di Marsi in marmo
pavonazzetto capolavoro di virtuosismo scultoreo. Dalla zona degli horti
delTEsquilino proviene anche il gruppo scultoreo dell'Auriga collocato
nella Sala VII che, solo a seguito di una recente analisi, ha riacquistato
il suo significato originario. Lo studio stilistico e interpretativo ha
infatti permesso di riaccostare le due figure dell'auriga e del cavallo
che, rinvenute ad una certa distanza una dall'altra negli scavi della fine
del secolo scorso, erano state musealizzate separatamente senza
riconoscerne la reciproca appartenenza. Il cavallo, ridotto in frammenti,
fu rinvenuto infatti nel 1873 nello smontaggio di un muro tardoantico in
corrispondenza della zona occupata dagli Horti di Mecenate. Il
ritrovamento dell'auriga avvenne invece nel 1874, diverse centinaia di
metri più a nord rispetto al cavallo, vicino alla chiesa di S. Eusebio, a
Piazza Vittorio. Anche in questo caso la scoperta avvenne durante la
demolizione di un muro "dei bassi tempi" costruito con migliaia di
frammenti di scultura dalla ricomposizione dei quali derivano molte delle
sculture esposte nel settore dedicato agli Horti Tauriani. Il gruppo
statuario così ricomposto presenta dunque una figura maschile nuda
nell'atto di salire su un carro trainato da due cavalli: la scena è stata
interpretata come la rappresentazione del ratto di Antiope, regina delle
Amazzoni, da parte di Teseo. Alcuni segni presenti sulla figura maschile
fanno infatti ipotizzare la presenza di un altro personaggio, l'Amazzone
rapita appunto, vicino all'eroe: ma di questa scultura non si sono trovate
tracce nelle collezioni capitoline. Dal punto di vista stilistico l'opera
appare,, non già una copia di un modello greco codificato, bensì una
reintepretazione di età romana di stilemi greci del V secolo a.C.
Significativa appare la presenza, nell'ambito degli Horti di Mecenate, di
alcune statue femminili identificabili come Muse, specchio della fama del
padrone di casa come protettore delle aiti e degli artisti, mentre la
scultura in marmo verde egiziano raffigurante un cane da guardia
rappresenta probabilmente un esempio di colto collezionismo. Rara e
preziosa la stele funeraria esposta nella Sala Vili, opera originale
greca, nella quale compare una fanciulla vestita con un complicato
panneggio in cui vengono sottolineate le diverse qualità di tessuto
accuratamente delineato nelle fitte piegoline; la mano destra è protesa e
sembra che la sinistra sollevasse le pieghe del chitone nel caratteristico
gesto di una kore tardoarcaica. Un'opera di particolare impegno artistico,
forse attribuibile a un luogo di culto situato all'interno dei giardini, è
rappresentata dalla statua colossale di Demetra, raffinata copia romana da
un originale della metà del V secolo a.C., ove la studiata geometria delle
pieghe del panneggio e la lieve torsione del busto caricano la figura di
una notevole tensione interna. Se in quest'opera viene sottolineata la
maestosità olimpica della dea, il dinamismo è la caratteristica che
contraddistingue la statua di Èrcole combattente, rappresentato in vivace
movimento e ripreso da modelli greci del IV secolo a.C.
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