"Ho visto una galleria di 79 metri di lunghezza, il cui pavimento
era costituito dalle più rare e costose varietà di alabastro ed il
soffitto sonetto da 20 colonne scanalate di giallo antico, poggiate su
basi dorate; ho visto un altro ambiente, pavimentato con lastroni di
occhio di pavone, le cui mura erano ricoperte da lastre di ardesia nera,
decorate da graziosi arabeschi eseguiti in foglia d'oro; e ho visto infine
una terza sala, il cui pavimento era composto da segmenti di alabastro
incorniciati da paste vitree verdi. Nelle pareti di essa erano
tutt'intorno vari getti d'acqua distanti un metro l'uno dall'altro, che
dovevano incrociarsi in varie guise, con straordinario effetto di luce.
Tutte queste cose furono scoperte nel novembre del 1875." Così Rodolfo
Lanciani descrive gli straordinari ritrovamenti effettuati sull'Esquilino,
nella zona situata tra le attuali piazza Vittorio Emanuele e piazza Dante,
e individuata, attraverso la lettura delle fonti letterarie, come
pertinente agli antichi Horti Lamiani. Questa splendida villa era, in
origine, proprietà di una famiglia, forse proveniente da Formia, che
iniziò la sua scalata al potere politico e sociale a Roma con Lucio Elio
Lamia e raggiunse l'apogeo con un suo nipote dallo stesso nome, console
nel III d.C. Come è accaduto per molti altri possedimenti della stessa
zona risulta che ben presto, forse già sotto il principato di Tiberio, gli
Horti Lamiani passarono nella proprietà imperiale. Sappiamo per certo,
attraverso la testimonianza di Filone Alessandrino che li visitò nel 38
d.C., che Caligola vi abitò e realizzò una serie di interventi di restauro
agli edifici esistenti nel parco e fece in modo che la dimora "diventasse
ancora più splendida".
Le strutture scoperte alla fine dell'Ottocento comprendono un
grandioso ninfeo a forma di cavea teatrale affacciato su una valle, un
lungo portico su cui si affacciavano ambienti decorati con pitture da
giardino, e il magnifico complesso, descritto dalle parole di Lanciani,
costituito dal lungo criptoportico e da una serie di ambienti a carattere
termale: nulla di tutto ciò è più visibile, nascosto dalla città moderna.
Quello che rimane è lo straordinario apparato decorativo e scultoreo della
villa rinvenuto negli scavi e oggi nuovamente esposto nelle sale del
Palazzo dei Conservatori. Tra le opere più preziose alcuni originali greci
esposti nella Sala I, frutto di un particolare gusto collezionistico e del
costante riferimento da parte dei cólti romani alla cultura artistica di
età classica: si tratta di due stele funerarie greche di epoche diverse e
del gruppo de\Yephedrismós che rappresenta due giovanotte, una sulle
spalle dell'altra, intente in un gioco. Del magnifico pavimento di
alabastro ''di Palombara" (così chiamato dai marmorari romani perché in
questa zona, prima dell'urbanizzazione ottocentesca, si trovava la Villa
Palombara), che decorava la galleria sotterranea lunga circa 80 metri, si
conserva solo nella Sala II una piccola porzione rispetto all'estensione
totale, che però riesce a rendere l'idea della sontuosità dell'arredo
architettonico. Non lontano sono stati rinvenuti gli splendidi capitelli
di lesena in opus sectile, dove, su una base di marmo rosso, i motivi
decorativi sono ricavati con un prezioso intarsio di marmi colorati.
"Sull'angolo meridionale di piazza Vittorio Emanuele, nell'area degli
antichi Horti Lamiani, sono apparsi a fior di terra avanzi di un mobile di
legno incrostati di ornati di bronzo dorato, bucrani, encarpi, fusarole,
candeliere, baccelli. In ciascuno degli ornati sono incastonate gemme come
corniole, diaspri, ametiste, granate, onici, occhi di gatto, lapislazzuli.
Alcune pietre, specialmente quelle a più strati, sono intagliate con
figure di animali, busti virili, ecc. I piedi del mobile sono intagliati
in cristallo di monte"
Che si trattasse di un prezioso mobile fu il primo tentativo di
interpretazione di questa ricchissima congerie di materiali preziosi che,
a un computo preciso, annoverano: 296 lastrine di agata, 441 gemme tra
sciolte ed incastonate, 28 frammenti di cristallo di rocca, 4 gemme
incise, 3 lastrine di cristallo di rocca lavorate ad incavo, 40 frammenti
di ambra, 1 frammento di piccola i maschera in plasma di smeraldo, 1
piccola foglia in plasma di smeraldo, un numero i imprecisato di lamine in
rame dorato sia lisce che sbalzate a motivi decorativi, una grande
quantità di chiodi, tubetti distanziatori, fascette e incastonature vuote.
In realtà siamo probabilmente di fronte ai frustuli della sontuosa e
sgargiante decorazione di un ambiente le cui pareti, foderate di legno,
erano rivestite da queste lamine di metallo dorato a formare disegni
all'interno dei quali si inserivano le gemme e gli altri materiali
ornamentali. L'effetto di questo ricchissimo apparato può trovare un
riscontro nelle sontuose decorazioni che compaiono in pitture del II Stile
pompeiano. Nel periodo di Natale del 1874 venne in luce una camera
sotterranea nella quale era stato ricoverato, per difenderlo da qualche
imminente pericolo, uno straordinario gruppo di sculture raccolto nella
Sala III. Venne così recuperata la bellissima Venere Esquilina,
rappresentata nuda e colta nel gesto di legarsi i capelli preparandosi al
bagno, accompagnata da due splendide figure di sacerdotesse o Muse che si
avvicinano alla figura principale del gruppo per il trattamento delle
superfici e per chiare analogie stilistiche, particolarmente evidenti nei
volti dalle linee di contorno sfumate e dall'incarnato simile a
porcellana. Si tratta di opere della prima età imperiale, ispirate a
modelli greci di epoche diverse, rispecchiando il gusto eclettico tipico
dell'arte romana. Nello stesso luogo è stato rinvenuto anche il bellissimo
gruppo scultoreo che rappresenta l'imperatore Commodo, rappresentato come
Èrcole ed affiancato da due creature marine, i Tritoni, in una complessa
allegoria che simboleggia l'apoteosi dell'Imperatore in vita. Per i suoi
atteggiamenti "eccessivi" Commodo subì dopo la morte la damnatio memoriae,
provvedimento che comportava la distruzione di tutte le immagini e di
tutte le citazioni nelle iscrizioni ufficiali: forse proprio a questo
dobbiamo l'occultamento e, di conseguenza, la conservazione delle
preziosissime sculture. Nello stesso ambiente fu rinvenuta anche la statua
di Dioniso disteso probabilmente parte di un gruppo più ampio che doveva
comprendere anche altri personaggi del corteggio del dio. Dall'area degli
Horti Lamiani proviene la bellissima testa di un centauro e la statua di
Diadumeno, raffinatissima copia di età romana di una famosa e celebrata
statua di Policleto rappresentante un atleta che si unge. .
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