[ urn:collectio:0001:doc:affreschi:1976 ]

Prospetto Avorio con scena dionisiaca dalla tomba Arieti – TAV. VI [Pag. 29] Note Elogio funebre di Iuna [Pag. 33] Paesaggi [Pag. 36] AFFRESCHI DI VIA MERULANA [Pag. 38] Gli affreschi dell’ambiente A. Ambiente B PITTURE DI VIA DELLO STATUTO [Pag. 42] GRUPPO DI AFFRESCHI RINVENUTI LUNGO VIA GENOVA (S. VITALE) [Pag. 44] 1) Notizie del ritrovamento. 2) Inquadramento topografico. 3) Descrizione degli affreschi. 4) Conclusioni. Bibliografia: Perseo e Andromeda [Pag 53]

Avorio con scena dionisiaca dalla tomba Arieti urn:collectio:0001:antcom:18741 – TAV. VI [Pag. 29]

(Edith Cicerchia)

Avorio di colore nocciola-grigiastro, spezzato in lamelle e frammenti irregolari di varia grandezza. L’intera superficie ed in particolare le facce laterali presentano molteplici fessure verticali. Mancano alcuni elementi della zona decorata: della figura della faccia anteriore, la testa, parte della spalla, del braccio e della mano sinistra, parte dell’avambraccio, della mano destra e del tirso, due grosse schegge del panneggio in corrispondenza della coscia e del polpaccio sinistro. Faccia di sinistra: parte del viso e del braccio destro della figura vestita. — Faccia di destra: la testa e parte del busto della figura danzante. — Restaurato nel febbraio 1976 (v. nota).

L’avorio ha la forma di parallelepipedo. Le facce inferiore, superiore e posteriore sono lisce e presentano, in particolare quella superiore, una serie fittissima di striature irregolari. La zona decorata è delimitata da una linea che corre parallela alla base sulla faccia anteriore e che continua ad arco di cerchio sulle facce laterali; all’esterno di questa linea la superficie dell’avorio è perfettamente liscia. Sulla faccia anteriore è una figura maschile, seduta di tre quarti sinistra, su una roccia; il braccio destro, teso in avanti, tiene un oggetto che doveva con ogni probabilità essere un tirso, il gomito sinistro si appoggia ad uno sperone roccioso, la gamba sinistra è avanzata rispetto alla destra. La figura è nuda fino all’altezza dei genitali, mentre le gambe sono avvolte in un panneggio che si avvolge anche intorno al gomito sinistro e ricade sulla roccia su cui la figura siede. [vedi fig. n. 3] Sulla faccia destra dell’avorio è rappresentata invece una figura di fauno danzante di profilo sinistro; è in punta di piedi, il piede destro leggermente arretrato, il braccio sinistro abbassato a tenere tra la mano e il gomito un pedum o una piccola cornucopia, la mano destra invece sollevata a tenere una fiaccola o una benda che svolazza sopra la figura. La figura sembra avere una piccola coda e portare una pelle che dalla spalla ricade fin sotto il braccio sinistro. Avanti a lui è poggiata a terra una grossa anfora. Più complessa è invece la scena della faccia di sinistra. Una figura femminile interamente vestita siede di profilo su uno sperone roccioso; dietro le sue spalle si intravvede un elemento curvilineo, purtroppo non chiaramente definibile (accenno ad elementi paesistici?). Il braccio destro della donna è proteso in avanti e la mano si appoggia su una cesta che un bimbo, davanti a lei, porta in testa. Egli è in piedi, le volge le spalle, ha tra la mano e il gomito sinistro una piccola cornucopia mentre il braccio destro è sollevato e regge la cesta che ha sulla testa.

La scena è indubbio sapore dionisiaco. Dioniso infatti riconoscerei nella figura giovanile maschile dalle forme piene della faccia anteriore; seduto su una roccia, con il tirso in mano, seminudo, compare spesso in figurazioni ellenistiche: si vedano ad esempio il Dioniso raffigurato su un rhyton d’oro dal tesoro di Panagyurishtè (Catalogo della mostra Thracian treasures from Bulgaria, London, British Museum, january-march 1976, anche in E.A.A., III, pag. 116, fig. 146) o il Dioniso della Domus Uboni di Pompei (K. Schefold, Vergessenes Pompeji, München, 1962, pag. 166, tav. 173, 1). Anche il satiro danzante e l’anfora trovano contronti convincenti nel repertorio ellenistico, su gemme, ad esempio (M. L. Vollenweider, Die Steinschneidekunst und ihre künstler in spätrepublikanischer und augusteische Zeit, Baden-Baden, 1966, pag. 19, tav. 9 nn. 1-4). Più difficile l’interpretazione della scena della faccia di sinistra; il bimbo cestoforo compare spesso in scene di sacrificio a divinità, sempre in ambiente ellenistico: si veda ad esempio il cestoforo su una sardonica di Leningrado del I secolo a. C. (O. Neverov, Antiques Cameos in the Hermitage Collection, Leningrad 1972, n. 14). Nella figura femminile con lungo abito che le avvolge interamente il corpo, tenderei a riconoscere una addetta al culto; per l’abito che porta, si veda la figura femminile offerente di una pittura campana del Museo di Napoli (E.A.A. tavola a colori tra le pagg. 112-113, s.v. Dioniso). Gli elementi di confronto, anche se non diretti, ci portano dunque a collocare l’avorio in ambiente ellenistico, e una datazione contemporanea a quella proposta per gli affreschi della tomba sembra verosimile.

Da un punto di vista strutturale, l’avorio sembra essere un unicum.

Le striature irregolari e le tracce evidenti lasciate dagli strumenti di lavorazione sulle facce superiore, inferiore e posteriore lasciano supporre che tali facce non dovessero essere visibili. Se così, si dovrà pensare che si tratti di un pezzo pertinente ad un mobile, essendo le decorazioni in avorio e osso molto frequenti sui mobili antichi (E. Rodziewicz, Small greek ivory heads as furniture decoration, in Etudes et travaux, II, 1968, pagg. 257-265; G. M. A. Richter, The furniture of the Greeks, Etruscans and Romans, London, 1966, pagg. 125-126, figg. 410, 520, 531, 541). Mi sembra verosimile ipotizzare l’inserzione del nostro avorio nella decorazione di un bracciolo di seggio; in tal caso si potrebbe anche pensare all’esistenza di un pendant, ora perduto, decorato, forse, con una figura di Arianna.

Antiquarium Comunale inv. n. 18741.

Note

(Sergio Angelucci)

L’oggetto si presentava deformato e suddiviso in vari frammenti, secondo le linee strutturali della materia. Aveva subito un precedente restauro nel quale era stata usata colla animale. Questa colla, nelle condizioni non ideali di conservazione in cui era trovato l’oggetto, aveva favorito lo sviluppo di microrganismi; infatti la superficie dei frammenti era coperta da un micelio che la deturpava ed impediva la lettura dei particolari più minuti. Fatto un prelievo del micelio ed osservato al microscopio, si riconoscevano funghi della specie “Aspergillus”. Dopo la pulitura meccanica, è stata eseguita una accurata disinfezione e lavaggio di ogni frammento con tamponi inumiditi di una soluzione al 10% di “Desogen” (Ciba Geigy). La superficie dei frammenti che si presentava polverosa, è stata consolidata con una soluzione al 3% di “Paraloid B 72” (G. Rowney & Co.) in Clorotene.

La ricomposizione è stata effettuata con “Arsonite” (Arson Sisi), collante a base di cellulosa, e le parti mancanti sono state risarcite con uno stucco composto di 1 parte di polvere di cellulosa microgranulare (Whatman, tipo C C 31), 1 parte di “Mowital B 20 T” (Hoechst) e pigmenti in polvere per ottenere la colorazione voluta.

Elogio funebre di Iuna [Pag. 33]

(Emilio Rodrìguez-Almeida)

Roma, Antiquarium Comunale. Dal colombario di Via Olevano Romano.

L’iscrizione in questione (Tav. VIII; IX, 1) appare sopra un loculo con doppia olla cineraria, dipinto sullo stucco che, in seguito al rialzo del pavimento, alla aggiunta di una scala e al rialzo delle strutture superiori in un secondo momento, venne a trovarsi coperto di nuovo stucco (per cui l’iscrizione appare in parte abrasa) e praticamente sotto il nuovo livello pavimentale.

Tre sono gli element del “titulus”: le due linee alte comprendono i nomi del dedicante e della defunta; seguono sei versi (tre distici) di un “carmen”, che occupano quasi tutto il resto dello spazio sopra il loculo; infine, sotto di esso, vi erano lievi e sbiaditi resti di un’altra iscrizione in lettere minute, forse un doppio distico di un altro “carmen” funebre, la cui presenza si spiegherebbe grazie ad una allusione dell’elogio funebre principale.

Tutto il campo epigrafico misura circa 80 x 65 cm, essendo di 10 x 40 cm ca. il campo occupato dal “carmen” che rappresenta l’elemento più importante dell’insieme.

Ecco il testo quale lo si vedeva prima del distacco e del restauro dello stucco di supporto:

  1. L.CARESTVS.L.L.GEMELLVS

    IVNIAE.A.L.[M]ELA[NIAE?]

  2. TERRA.LEVI.TUMULO.LEVIÓR.NÉ.DEGRAVET.OSSÁ

    PAVPERIS.INPOSITVM.SVSTINET.ARTE.SVPER

    IVNIA.FORMOSA.INTER.MEMORANDA.PVELLA

    IVNIA.CASTARVM.HERBES.IN.VRBE.DECVS

    IN.CINERE.VERSSA.ESS.TVMVLOQVE.INCLVSA.

    [CICADAE

    DICERIS.CONIVNXS.VNA.FVISSE.VIRI

  3. Del terzo elemento si notano appena poche lettere dei finali dei probabili versi che componevano le quattro linee di un altro elogio in doppio distico. In essi sembra vedersi parte del “cognomen” GEMEL(L)VS che aveva il dedicante del “carmen” superiore, il che starebbe a dimostrare una relazione familiare tra le due persone cui, come vedremo, dovevano riferirsi i due elogi.

LACVNE. Nell’inizio del secondo verso è facilmente integrabile la prima parola PAV[PER]IS, senz’altro allusiva all’uso e destino del colombario, una costruzione funeraria destinata al ceto umile, come conferma la scarsa decorazione e l’epigrafia varia ivi raccolta.

Non tanto semplice appare l’integrazione della terza lettera del 4° verso, dove mi pare che debba leggersi la seconda persona singolare del presente indicativo di “herbeo, -es”, un verbo piuttosto inusitato, ma classico senz’altro, verbo più che giustificato dalla lunga ellissi che comprende tutto il distico, di cui risulta chiave.

Né mi sembra possibile l’integrazione di questa lacuna col cognome della donna, a giudicare da quel poco che rimane di esso nella titolatura iniziale (MELA[NIAE?]).

CARATTERISTICHE GRAFICHE. Inchiostro nero, pennello piccolo certamente vecchio, che “sbarba” in due punte al primo appoggio. Lettera piuttosto sciolta e agile, se non troppo regolare.

Le A sempre traversate, le M aperte e larghe, L dal piede abbondante e ricurvo verso l’alto, P e R raccolte, E con traversa alta tirata all’insù, sono le lettere più caratteristiche.

Da notare gli accenti metrici indicati sul primo esametro.

PECULIARITA’ ORTOGRAFICHE. Due correzioni sono visibili: Il dativo IVNIAE della seconda linea fu cominciato in un primo momento IN..., ma lo scrivente si corresse subito. Altrettanto si vede nel terzo verso, dove, sull’errore FORMOA, cancellò col dito l’ultima lettera per scrivere FORMOSAS.

Notevoli le corruzioni INPOSITVM, VERSSA ESS ed il preziosismo CONIVNXS.

STILE. I due primi versi, piuttosto contorti, mostrano, fra l’altro, la ricercatezza di scomporre in due parti la parola “superimpositum”, finezza che ricorre con frequenza nei classici, ma che non si aspetterebbe in un modesto elogio funebre come questo. Il tono enfatico, tipico di questi carmi, è scandito con una certa grazia, specialmente per la collocazione dei verbi SVSTINET, HERBES nei pentametri. Un esametro puramente narrativo e di passaggio allevia momentaneamente l’enfasi, mentre il pentametro conclusivo contiene una specie di giuramento di fedeltà del marito dedicante, che fa da climax emozionale alla composizione.

Alcune durezze e alliterazioni (“in cineres versa ess”, “herbes in urbe”, etc.) e la stessa retorica enfasi caratteristica di queste composizioni, non riescono a oscurare una certa fragranza ed il notevole vigore dei versi.

“TVMVLOQVE INCLVSA CICADAE”. Una frase particolarmente interessante va inclusa nel penultimo verso: “tumuloque inclusa Cicadae”. La frase, apparentemente criptica, ha invece, una spiegazione molto semplice. Al momento dello strappo dello stucco per il restauro dell’iscrizione, apparve sui tufelli dell’arco un’iscrizione a pennello molto sbiadita, ma leggibile: CICADA (Tav. IX, 2). Era sicuramente un’indicazione del nome della persona sepolta nell’urna accanto a quella di Iunia, una donna, alla quale il loculo apparteneva. Quando, per causa della nuova iscrizione, si stuccò lo specchio esterno del loculo, forse a lei fu dedicato il doppio distico i cui resti scarsissimi si scorgono al disotto di esso. Che siano versi sembra confermato dal suono dei finali [GE]MELI e [H?]ABET (forse una frase come “pignus amoris habet”?).

TRADUZIONE. “L. Carestus Gemellus, liberto di Lucio, a Iunia Mela[nia?], liberta di Aulo.

“Più leggera del più lieve tumulo, a sostegno di quanto vi è sopra, la terra si fa arco, per non pesare sulle ossa del povero.

Iunia, degna di memoria tra le belle. Iunia, sei tu lo splendore di tutte le caste. Ridotta a cenere e sepolta nel loculo di Cicada, di te si dirà che sei moglie di un solo marito...”.

Paesaggi [Pag. 36]

(Harald Mielsch)

Roma, Antiquarium Comunale. — Provenienza ignota, ma sicuramente da Roma stessa.

1) Alt. cm. 32,5; largh. cm. 69.

Paesaggio con fondo scuro (Tav. X, 1). La scena circoscritta da una fascia rosso-bruna, occupava sicuramente il campo laterale di una parete a fondo bianco. Una donna con una serva presenta offerte dinanzi ad una piccola erma, che non è però strettamente determinabile. Dietro l’erma si erge una porta sacra con un albero tra le colonne. L’architrave sostiene una grossa tazza e piccoli acroteri laterali. Nella parte destra del dipinto una stoà posta obliquamente dà profondità spaziale alla scena. Al suo lato si intravedono tre figure, forse statue di Hekate come nel noto dipinto di Napoli (Rizzo, Pittura ellenistico-romana, tav. 174 a). Un’altra figura davanti alla stoà è visibile a malapena.

Sullo sfondo, a destra sono raffigurati alberi, a sinistra, dinanzi al fondo grigio blu, è accennata una villa con pochi tratti grigio blu e ritocchi bianchi.

La costruzione sfuma senza alcuna differenziazione di colore nel cielo. Il quadretto è interessante esempio dei cosiddetti paesaggi idillico-sacrali, che, secondo Plinio, furono creati da Ludius (o Studius) o furono da lui inseriti nella decorazione parietale e che in numerose varianti appartengono ai più originali e felici prodotti della pittura romana. Sulla base della tecnica pittorica impressionistica, ma pesante, con molti ritocchi e toni di colore scuri, il quadretto deve essere datato in epoca neroniano-flavia.

2) Alt. cm. 28; largh. cm. 61.

Paesaggio con fondo bianco (Tavv. X, 2; C). La scena, priva di contorno, era certamente una vignetta su una parete a fondo bianco. E’ di nuovo rappresentata una scena di sacrificio, ma questa volta dinanzi ad una statua maschile, nuda, che regge due fiaccole, appartenente sicuramente alla cerchia dionisiaca.

Dietro la statua è raffigurata di nuovo una porta sacra. Una delle figure sacrificanti si piega per deporre il suo dono, le altre sollevano le braccia in gesto di adorazione.

Figure che accorrono, in parte con bestie da soma, ravvivano la metà destra del quadretto. Il paesaggio è bruno-giallo, le figure sono schizzate in toni bruno-scuro quasi senza ritocchi.

Il quadretto è di qualità inferiore e più rapidamente trattato che il primo. Non è propriamente rappresentato un paesaggio, che si estende in profondità, ma molto più gioca la successione di una scena piatta, dietro la quale lo spazio è accennato solo attraverso larghe pennellate color bruno. Simili scene di paesaggio prive di profondità non sono presenti nella pittura pompeiana. Al contrario le pitture della tomba dei Pancrazi sulla Via Latina (v. Mon. Am. Acc. 4, 1924, p. 73, Tavv. 30-32) mostrano simili paesaggi, che nondimeno sono dipinti più accuratamente. Anche un quadretto, ancora inedito, di epoca adrianea nella necropoli vaticana (Tomba di Tullius Zethus) è semplificato in egual maniera.

Il quadretto appartiene anch’esso indubbiamente al II secolo d. C., ma la scala cromatica semplificata parla di una datazione in epoca post-adrianea.

AFFRESCHI DI VIA MERULANA [Pag. 38]

(Harald Mielsch)

Roma, Antiquarium Comunale.

Gli affreschi furono rinvenuti nel 1960 in uno scavo nel cortile dell’Ufficio d’Igiene in Via Merulana, durante il quale furono rimessi in luce due edifici, ambedue solo in parte indagati (pianta fig. 4). Le pitture si trovavano sulle pareti, conservate per un’altezza di m. 1,50, di un ambiente rettangolare avente le dimensioni di m. 4,30 x 3,30 (ambiente A) e sulla parete di separazione dell’ambiente laterale (ambiente B); ambedue gli ambienti comunicavano mediante una porta (nella parete c) (Tav. XI, 1).

Nela parete nord dell’ambiente A (parete b) si apriva una porta che in un secondo tempo, ma anteriormente alla stesura degli affreschi, fu trasformata in finestra chiudendone una parte in muratura. Poichè la prima fase costruttiva dell’edificio è databile in età traianea sulla base dei bolli di mattone, le pitture devono essere state realizzate qualche tempo più tardi. Gli altri resti dell’edificio, assai modesti, non consentono una precisa individuazione del suo carattere.

Bibliografia: M. DE VOS – F. COARELLI, Bull. Com. 81, 1968-69, p. 149 s.

Gli affreschi dell’ambiente A.

Parete a (lato ovest)

(Tavv. XI, 2; XII, 1, 2): la zona dello zoccolo è occupata da alcuni ampi pannelli a fondo rosso, marrone rossiccio e giallo con piccoli motivi decorativi (paterae, calici di fiori con racemi). Un’ampia striscia nera separa lo zoccolo dalla parte superiore del podio, di color turchese, sul quale è raffigurata a sinistra una natura morta con uccello (un porfirione, altrimenti detto pollo sultano – ma non sarà una gallina faraona? - ).

Al centro della parete (la parte sinistra è perduta) si alza dal podio una edicola fiancheggiata da due coppie di colonne grigio chiaro, con stilobate marrone a due gradini, il più basso dei quali continua anche lateralmente come zoccolo della zona centrale della parete.

L’interno dell’edicola è a fondo giallo, con un pannello rosso delimitato da linee bianche; al centro di questo, al margine della parte conservata, sono resti di due figure volanti identificabili con una coppia di figure dionisiache. Sul margine inferiore del pannello posa una colomba. La zona laterale, conservata solo sulla destra, mostra uno zoccolo a fondo giallo con una maschera di Oceano tra delfini, appena schizzata. Al di sopra è inserita una specie di predella, tra pannelli colorati divisi da sottili linee bianche; in questa è raffigurata, su un fondo rosso mattone, una natura morta con gli attributi di Mercurio (caduceo, cista, un capro, un montone, e altri oggetti sulla destra non più riconoscibili).

Parete c (lato est)

(Tav. XIII, 1, 2): corrisponde nella distribuzione della decorazione alla parete a. La parte sinistra, appresso alle colonne dell’edicola, è qui però occupata da una porta, la cui presenza, come spesso accade anche nella pittura pompeiana, non comporta modifiche dello schema decorativo della parete. In luogo della colomba, sul margine inferiore del pannello posa il bue Apis con il crescente lunare tra le corna.

Parete b (lato nord)

(Tav. XIV, 1, 2; XV, 1). Della decorazione della parete, interrotta dalla presenza della finestra, è conservata solo la parte inferiore; qui la suddivisione della parete si distacca, tranne che per lo zoccolo, da quella degli altri lati. Lo spazio è suddiviso in riquadri gialli e rossi con cornici rosso scure. Sotto la finestra è raffigurata una maschera di Oceano come sulla parete a, ma qui tra ippocampi. Nello spazio a destra sono visibili due centauri rivolti l’uno verso l’altro, che si staccano galoppando da un candelabro vegetale.

Ambiente B

(Tav. XV, 2). Vi è conservato solo un piccolo pezzo della parete, che nella sua articolazione corrisponde a quella della parete d del primo ambiente. Dei motivi decorativi sono conservati sullo zoccolo un calice con racemi e, sul margine inferiore del pannello laterale, un’oca accovacciata.

Il sistema decorativo di queste pareti è caratterizzato dal contrasto fra singoli elementi architettonici (edicola con zoccolo) e le rimanenti parti della parete, qui non più intese, come nel c. d. IV stile della pittura pompeiana, quali elementi di una struttura architettonica, bensì come superfici colorate dalle tinte contrastanti, sulle quali le strutture architettoniche sono solo appoggiate.

Tipica è inoltre l’assenza di pinakes nelle zone centrali delle pareti, la rinuncia ad affolare le superfici di elementi decorativi, e infine la presenza di toni dominanti sul rosso, rosso scuro e giallo, che contribuiscono a sottolineare il carattere di questa parete come quello di un’armonica combinazione di piani colorati, nei quali i motivi figurativi giocano solo un ruolo subordinato.

Da pareti adrianee, come quelle delle Casa delle Muse in Ostia (B. M. Felletti Maj-P. Moreno, “Le pitture della casa delle Muse”, Mon. Pitt. Ant., Ostia 3, 1967), si distaccano però quelle di Via Merulana per una più marcata evidenza degli elementi architettonici, la mancanza di piccoli elementi decorativi di riempitivo ed infine il ridursi della scala cromatica a pochi, violenti colori, quali soprattutto il rosso e il giallo. La pittura adrianea preferisce al contrario colori pastosi, che in composizioni variate e in unione con molteplici elementi ornamentali fantastici producono un effetto di inquietudine e animazione. Anche il modellato dei singoli motivi decorativi è qui talvolta più robusto (come per esempio negli uccelli), talvolta più marcatamente alleggerito rispetto ai motivi decorativi che si dispongono con leggerezza sulle pareti della Casa delle Muse o di altri complessi adrianei (p. es. nelle tombe B, C e G della necropoli Vaticana o nel grande corridoio dell’edificio sotto S. Giovanni in Laterano; si veda per questo le osservazioni dello scrivente in Rend. Pont. Acc., XLV, 1973/74, p. 79 ss.). Una datazione delle pitture di Via Merulana in età antonina, tra il 140-160 circa, sembra pertanto giustificata; pressappoco contemporanee potrebbero essere le pitture della Casa delle Ierodule, recentemente rinvenute in Ostia, molto simili per la divisione della parete, la scala cromatica e lo stile pittorico (cfr. M. L. Veloccia Rinaldi, Rend. Pont. Acc., 43, 1970-71, p. 165 ss.).

I singoli motivi della parete – gruppi volanti, uccelli, maschera di Oceano, centauri – sono già attestati nella pittura pompeiana; lo stesso dicasi per il pannello con gli attributi di Mercurio. Simili composizioni di attributi divini durano ancora in esempi di pittura, tuttora inediti, del II sec. nella necropoli vaticana, nel colombario Polimanti, oggi perduto (Mancini, NSc, 1919, p. 52 s.) e nella Casa degli Aurighi di Ostia; l’esempio più tardo è rappresentato dagli Eroti con trono di Mercurio nell’ambiente di S. Vitale a Via Genova.

PITTURE DI VIA DELLO STATUTO [Pag. 42]

(Stefania Cassia)

Roma, Antiquarium Comunale.

Le due pitture (Tavv. XVI, XVII) provengono da uno scavo effettuato in via dello Statuto nel 1884. Decoravano un ambiente secondario (forse una sala di lettura) di una piccola terma di casa privata ora ricoperta dalla strada che vi si è sovrapposta.

Non sappiamo esattamente quale fosse la posizione dei dipinti sulle pareti e si ignora se erano isolati o facevano parte di una decorazione più ricca; le pitture si trovano così ad essere avulse dal loro contesto originario, il che rende più problematico il loro inquadramento cronologico e stilistico. Topograficamente la zona, che si trova nella Regio V augustea, non è molto conosciuta; del complesso che ci riguarda sappiamo soltanto che nel IV sec. d.C. un ninfeo si è in parte sovrapposto all'ambiente delle pitture.

1) Alt. cm. 84; largh. cm. 92.

A sinistra una casa con portico sotto il quale una donna stante guarda un cavaliere in partenza accompagnato da un uomo a piedi. Dietro la casa un albero a larga chioma (Tavv. XVI; B).

2) Alt. cm. 86; largh. cm. 83.

A destra tre case addossate, davanti alle quali una donna getta il mangime a delle oche. A sinistra un grosso albero inclinato (pioppo?) (Tav. XVII). In primo piano un uomo con l'asta sulla spalla si allontana. Dietro la scena è disegnata una collina su cui una figuretta è in atto di salire.

Le due scene di paesaggio si collocano ancora come contenuto nella tradizione della pittura ellenistica di paesaggio; se ne distaccano stilisticamente per la tendenza ad annullare ogni senso di spazialità. Infatti i secondi piani vengono rappresentati con prospettiva a volo d'uccello come uno sfondo a due dimensioni piuttosto che come elemento che dia profondità. Anche la corposità delle figure e delle cose viene a mancare e si tende ad una maggiore sinteticità. Sono quindi sintomo del mutamento della sensibilità spaziale che tende ad annullare la profondità e a fare affiorare sul piano gli elementi della composizione. I dipinti sono perciò databili verosimilmente all'età antoniniana (150-160 d.C.).

I dipinti sono di nuovo visibili dopo essere stati chiusi per lungo tempo nei magazzini. Prima di essere esposti è stato necessario un nuovo restauro per togliere le ritoccature e privarli del pesante sostegno in gesso che vi era stato applicato nel restauro ottocentesco.

Bibl.: Bull. Com., 1884, p. 254; N. Sc., 1884, p. 153; F. wirth, Roemische Wandmalerei, Berlin, 1954, p. 147, fig. 66, 67; M. borda, La pittura romana, Milano, 1958, p. 308; A. frova, L'arte di Roma e del mondo romano, Torino, 1961, p. 418.

Per notizie sul paesaggio: M. rostovzev, R. M., XXVI, 1911, pp. 1-185; C. M. dawson, Yale Classical Studies, LX, 1944; R. B. bandinelli, Paesaggio, E.A.A., 1958; W. J. peters, Landscape in romano-campanian mural painting, Assen, 1963.

GRUPPO DI AFFRESCHI RINVENUTI LUNGO VIA GENOVA (S. VITALE) [Pag. 44]

(Ernesto De Carolis)

Roma, Antiquarium Comunale.

1) Notizie del ritrovamento.

Le pitture esposte provengono da vari ambienti scoperti nel 1880 negli scavi per le fondazioni del Palazzo dell'Esposizione probabilmente dalla zona lungo via Milano.

Un gruppo di queste decoravano le pareti di un unico ambiente (come dimostra un acquarello effettuato all'epoca del rinvenimento) (Tav. XVIII) del quale possediamo scarsi dati essendo andato completamente distrutto dopo lo «strappo» delle pitture. Gli unici elementi sicuri sono che aveva una forma rettangolare allungata (forse un corridoio); che si apriva probabilmente su di una scala con gradini marmorei; che le pareti erano in laterizio; che aveva un pavimento in mosaico (secondo le notizie del Buonfanti e del Lanciani); che era coperto da una volta a botte (dato ricavato dall'osservazione dell'acquerello).

Rispetto all'acquerello le pitture conservate sono incomplete: del lato sinistro dell'ambiente abbiamo il bovino di fronte ad una staccionata e tre uccelli librati in volo e probabilmente la figura femminile nuda, della volta il cacciatore che insegue un cervo ed una scena campestre con tre pecore, del Iato destro il quadretto con Pan e menade. Mancherebbero: Fiume coronato di canne, Perseo librato in volo, Amorini che portano un trono, Pastore in atto di mungere una pecora, Figura maschile giacente. Il secondo gruppo di pitture, costituito dai due busti maschili e due femminili entro tondi, non ha riscontro sull'acquarello e pur proveniendo dalla stessa area non possiamo attribuirlo a nessuna struttura particolare; possiamo solo affermare che forse decoravano una volta.

2) Inquadramento topografico.

L'area nella quale sono state rinvenute le pitture appartiene alla VI Regione Augustea detta Alta Semita dalla via che percorreva il Quirinale. Caratteristica di questa regione era la presenza di un quartiere patrizio con dimore di alcune illustri famiglie di Roma di epoca tarda gravitante in gran parte intorno alla zona occupata ora dal Palazzo dell'Esposizione. In particolare le domus più vicine al luogo di rinvenimento delle nostre pitture risultano quelle di Aemilia Paulina l'Asiatica, di Betitus Perpetuus Arzygius e di Titus Aelius Naevius Antonius Severus. L'attribuzione delle nostre pitture e degli ambienti che esse decoravano a qualcuna di queste domus risulta insostenibile sia per questioni cronologiche che per la mancanza di una esatta carta archeologica di questa zona.

3) Descrizione degli affreschi.

A) Bovino di fronte a staccionata e tre uccelli librati in volo

(Tavv. XIX, 1; XX).

Tali frammenti facevano parte della più vasta rappresentazione, visibile per intero sull'acquarello, con scena di giardino decorante le zone inferiori nei lati lunghi del nostro ambiente. Il bovino è rappresentato in primo piano gradiente verso destra; in secondo piano è raffigurata una staccionata con dietro una scena di giardino ed uccelli che volano al di sopra di essa.

Si tratta di una rappresentazione largamente sfruttata nella pittura di I secolo ma che nel nostro esempio risulta ridotta agli elementi essenziali con una disorganicità nelle proporzioni e nella composizione. In particolare il bovino, che richiama una più realistica scena campestre, è completamente estraneo a questo genere più raffinato di composizioni.

B) Figura femminile seminuda

(Tav. XIX, 2).

La figura è appoggiata ad un elemento di sostegno inglobato nella fascia che delimita la raffigurazione. Ha le gambe incrociate, si sostiene la testa con la mano destra mentre il braccio sinistro è appoggiato all'anca; l'acconciatura presenta i capelli raccolti alla sommità del capo.

L'iconografia di questa figura non presenta confronti puntuali nella pittura di I-II sec. d.C., mentre si possono fare interessanti riferimenti con la statuaria, in particolare nelle raffigurazioni di ninfe e divinità marine.

C) Scena di caccia

(Tav. XXI, 1).

La scena rappresenta un cacciatore nell'atto di inseguire un cervo in un ambiente paesistico realizzato solo da due alberi che chiudono a destra e a sinistra la composizione. Il cacciatore impugna un’asta ed un laccio, indossa una corta tunica e delle brache aderenti a fasce alterne di diverso colore.

Tale scena, pur ridotta agli elementi essenziali, ripete uno schema iconografico largamente sfruttato nella pittura romana particolarmente come decorazione di zone secondarie di pareti.

D) Scena campestre

(Tav. XXI, 2).

Sono raffigurate tre pecore che brucano l’erba in un paesaggio con alberi ed elementi architettonici riferibili a costruzioni sacre.

Si tratta di un quadretto, notevolmente impoverito nella costruzione della scena, che si riallaccia alle pitture di genere idillico-sacrale aventi come soggetto tempietti o sacelli inseriti in paesaggi campestri.

E) Pan e Menade

(Tavv. XXII; C).

La scena rappresenta Pan che scopre una Menade dormiente secondo uno schema noto ed usato nell’iconografia dell’incontro di Arianna e Dioniso a Nasso.

Pan presenta gli attributi di Dioniso (pelle ferina e corona di foglie di vite) ma nell’iconografia tradizionale non è mai il dio, sempre raffigurato immobile a lato della scena, che toglie il velo ad Arianna bensì un amorino.

F) Quattro busti entro tondi

(Tavv. XXIII, XXIV).

Si tratta di due busti maschili e due femminili entro tondi rappresentati con la testa leggermente di tre-quarti ed il busto di prospetto coperto da un panneggio.

Le quattro figure si possono identificare con le stagioni, nonostante la mancanza di attributi, non solo per il loro numero ma anche per la genericità dei tratti che esclude qualsiasi intenzione ritrattistica. I recenti restauri hanno anche rilevato l’esistenza di precedenti tondi che rafforzano la nostra ipotesi in quanto è molto improbabile che un ritratto seppur idealizzato venga ripetuto due volte in epoche differenti.

4) Conclusioni.

Nel complesso il gruppo di pitture si inserisce in una tradizione decorativa di ascendenza ellenistica quale è quella della prima e media età imperiale (I-II sec. d. C.), ma rispetto a questa tradizione presenta un notevole impoverimento nella composizione delle scene che risultano ormai ridotte agli elementi essenziali. Lo sfondo risulta infatti completamente bianco, è assente ogni tentativo di ambietanzione paesaggistica delle scene, lo stesso piano di posa è al massimo realizzato con una larga pennellata di colore scuro.

Le figure inoltre risultano realizzate con rapidità e manca ogni tentativo di disegnare le muscolature dei corpi ed in genere i loro particolari interni. Gli stessi colori sono molto limitati: rosso in varie tonalità, marrone e scarse tracce di giallo e di verde. Si riallacciano quindi ad una tradizione pittorica riscontrabile alla fine dei II-inizi del III sec. d. C. Vanno sottolineati inoltre due dati esterni di notevole interesse che confermano la notra datazione: l’abbigliamento del cacciatore nel quadretto con scena di caccia presenta le fasce crurales ed una corta tunica forse manicata che risultano databili dalla seconda metà del II sec.-inizi III sec. d. C.; inoltre le acconciature delle quattro stagioni presentano due diversi tipi di pettinature: i tondi maschili hanno capelli ricci a grosse ciocche formanti una piccola frangia sulla fronte, i tondi femminili presentano i capelli divisi in mezzo alla fronte in due bande che lasciano scoperte le orecchie e poi si raccolgono in una crocchia sulla nuca. Si tratta di due pettinature molto comuni alla fine del II sec. e richiamanti rispettivamente quelle di Commodo (180-192 d. C.) e della moglie Crispina.

Bibliografia:

1) Per il rinvenimento:

G. BUONFANTI, Registro dei trovamenti della Comm. Arch. Com. di Roma, v. IV, 1877-1891, rapporti nn. 37, 48; Notiziario, in Bull. Com., 1880, pp. v. IV, 1877-1891, rapporti nn. 37, 48; Notiziario, in Bull. Com., 1880, pp. 283-285; R. LANCIANI, in NSc, 1880, pp. 465-466; A. M. COLINI, Descrizione delle collezioni dell’Antiquarium Comunale ampliato e riordinato, Roma, 1929, p. 51, tavv. XXII-XXIII.

2) Per l’inquadramento topografico:

R. LANCIANI, Forma Urbis Romae, Milano, 1893-1901, tav. XVI; F. CLEMENTI, Roma imperiale nelle XIV regioni augustee secondo gli scavi e le ultime scoperte, Roma, 1935, pp. 167-195; M. SANTANGELO, Il Quirinale nell’antichità classica, in MemPontAcc., v. V, Roma, 1941, pp. 77-214; G. LUGLI, Fontes ad topographiam veteris urbis Romae perinentes, v. IV, libro XIII, Roma, 1957, pp. 179-354.

3) Confronti per gli affreschi:

A) Bovino di fronte a staccionata e tre uccelli librati in volo:

P. GRIMAL, Les jardins romains, Parigi, 1943, pp. 479-496; A. MAIURI, Nuove pitture di giardino a Pompei, in Bd’A., 1952, pp. 5-12; M. GABRIEL, Livia’s garden room at Prima Porta, New York, 1955; G. BECATTI, I Mitrei, in Scavi di Ostia, II, Roma, 1954, tav. XXII, pp. 93-99;

B) Figura femminile nuda.

G. BECATTI, Ninfe e divinità marine, in Studi Miscellanei, 17, 1970-1971, pp. 30-34, tavv. XXXV nn. 66, 68, XXXVI, XXXVII n. 71;

C) Scena di caccia:

L. CURTIUS, Die Wandmalerei Pompejis, Lipsia, 1929, p. 144 tav. 85, p. 172 tav. 108; G. CALZA, La necropoli del porto di Roma nell’Isola Sacra, Roma, 1940, pp. 149-150, 152, 153, tavv. 72, 76; K. SCHEFOLD, Vergessenes Pompeji, Monaco, 1962, tav. 16, n. 2, tav. 103 n. 3; I. LAVIN, The Hunting mosaics of Antioch and their sources, in Dumbarton Oaks Papers, 1963, pp. 180-286;

D) Scena campestre:

K. SCHEFOLD, Origins of roman landscape painting, in Art Bulletin, 1960, pp. 87-97; W. J. PETERS, Landscape in romano-campanian mural painting,Assen, 1963;

E) Pan e Menade:

A. SOGLIANO, Scavi di Puglia, in NSc., 1908, pp. 71-72, fig. 4; L. CURTIUS, Die Wandmalerei Pompejis, Lipsia, 1929, pp. 308-314, fig. 179; J. SIEVEKING, in JdI, 1941, pp. 79-80, tav. 4; K. SCHEFOLD, Die Wande Pompejis, Berlino, 1957, pp.22-24, 47-49, 84, 124-125, 130-131, 198-199, 251, 271;

F) Quattro busti entro tondi

G. M. A. HANFMANN, The Season Sarchophagus, in Dumbarton Oaks, II, 1951; K. PARLASCA, Die Römischen Mosaiken in Deutschland, Berlino, 1959, p. 143, nota 2; AUTUORI VARI, Baccano: Villa Romana, in Mosaici antichi in Italia, Roma, 1970, pp. 9-12.

Perseo e Andromeda [Pag 53]

(Harald Mielsch)

Roma, Antiquarium Comunale. — Da via del Teatro di Marcello. — Alt. cm. 132; largh. cm. 221.

Provenienza: L'affresco proviene da un vasto complesso rinvenuto nel 1929 nella sistemazione della Via del Mare (attuale Via del Teatro di Marcello), nel tratto lungo le pendici del Campidoglio, di fronte al Teatro di Marcello; dell'edificio, eretto a giudicare dai bolli dei mattoni in età adrianea, ma inglobante anche parti più antiche, fu scavata solo una parte (v. pianta, fig. 5). II complesso più importante è costituito da alcuni ambienti lungo il lato settentrionale e quello orientale, il maggiore dei quali aveva una banchina che girava tutt'intorno alle pareti, e, come pavimento, un mosaico bianco e nero di età severiana; la copertura era realizzata con una volta a crociera. Il lato Sud si apriva con una serie di finestre su una terrazza; con questa comunicava da una parte anche il vicino ambiente, caratterizzato da tre nicchie sulla parete di fondo, e aperto da una parte anche su un cortile.

A questi ambienti orientali verso Est si saldava un ulteriore complesso, orientato obliquamente rispetto al primo. In questo fu scavato solo un tratto della parete occidentale di un grande ambiente, coperto con volta a botte, dove si trovavano due ampie nicchie ad arco (Tav. XXXI). Quella di sinistra era stata trasformata in un piccolo ninfeo mediante raggiunta sul davanti di una vasca in opus listatum e articolando la parete mediante nicchie rotonde — tre sul fondo e altre due una per lato — con colonne antistanti.

È dalla lunetta di questa nicchia che proviene l'affresco con Perseo e Andromeda (v. pianta fig. 5, A). Esso rappresenta l'ultima di tre fasi decorative, ancora riconoscibili nell'intradosso dell'arco. La prima fase è costituita da zone policrome con rosette al centro divise da fasce di stucco; a questa è sovrapposta una pittura a fondo chiaro con ampia incorniciatura rossa. Il tondo centrale è occupato da un Gorgoneion (Tav. XXXII, 1); il pannello laterale di destra da due pavoni. Questa decorazione potrebbe risalire all'età severiana. Nell'ultima fase, alla quale appartiene la composizione con Perseo e Andromeda, l'intradosso dell'arco ricevette un rivestimento in stucco rosso con inciso un motivo a squame, conservato ora solo agli attacchi dell'arco (Tav. XXXII, 3). Della decorazione della vicina nicchia, lo scavo riportò alla luce solo resti molto modesti (le gambe di una figura seduta); la volta, in parte conservata e forse originariamente costituita di due volte a botte parallele, mostrava in parte un rivestimento in stucco policromo a strigilature, come si incontra spesso in edifici termali a Pompei e Ercolano; in parte presentava un motivo decorativo più complesso.

A occidente di questo ambiente si trovava una fila di stanze minori con volte a crociera, delle quali una era stata trasformata in cisterna nel corso del III sec. d. C. L'esistenza di un piano superiore infine era suggerita dalla presenza di un pavimento a mattoni su alcuni resti della volta.

Tre sono le fasi costruttive che appaiono individuabili con certezza: l'erezione dell'edificio, collocabile in età adrianea; le modifiche in età severiana con il rifacimento della decorazione, ed infine una fase di IV secolo alla quale appartiene anche l'affresco. Una interpretazione dell'edificio è resa difficile dallo scavo, che fu solo parziale; A. M. Colini ha proposto di vedere un balneum negli ambienti scavati, ma questi costituiscono solo una parte di un ricco complesso, forse edificio pubblico o dimora privata di un alto esponente dell'aristocrazia romana.

La scena con Perseo e Andromeda è incorniciata da fasce rosse e nere (Tav. XXXIII). A sinistra si erge una massiccia rupe, il cui contorno irregolare è sottolineato da ampie ombreggiature brune; da essa si stacca Andromeda, vista frontalmente. La testa del Ketos, sul quale preme il piede sinistro, e in parte anche la zona inferiore del corpo sono andate perdute per la decomposizione dell'affresco. Andromeda, il cui viso è perduto, stringe con la destra in un gesto prezioso il manto, che le lascia scoperta la parte superiore del corpo.

Al collo ha una collana composta di elementi ovali, marroni sopra, bianchi nella parte inferiore; alle braccia due braccialetti per parte.

La stessa forma della collana presentano due curiosi cerchi sullo scoglio, evidentemente le catene con le quali era avvinta. Dietro di lei sta un cesto.

Sulla destra della scena è Perseo, che regge il braccio sinistro teso in avanti di Andromeda, per aiutarla a scendere; anch'egli è visto di fronte.

Indosso ha un berretto frigio, i sandali e un mantello che gli copre la spalla col braccio sinistro e la parte inferiore del corpo.

La sinistra regge l’harpe e, appena riconoscibile, la testa di Medusa.

Notevole è la posizione delle gambe: la destra è piegata e poggia su una roccia, una posizione che già compare su pitture pompeiane (cfr. L. Curtius, Die Wandmalerei Pompejis, 1929, pag. 255 s., fig. 153, tav. 3); diversamente che su queste il piede destro appare alla stessa altezza del sinistro, così da dare l’impressione che Perseo sia raffigurato seduto. A questa contribuisce anche il lembo del mantello che ricade dall’avambraccio sinistro, che ricorda una spalliera di trono.

La gamma delle tinte è ridotta: mancano le tinte cangianti degli affreschi della Farnesina ai Baullari (Cat. n. 8). I corpi sono color carne, con lemeggiature per far risaltare l’articolazione dei muscoli; i capelli e i panneggi sono marroni, le rocce e la linea d’appoggio delle figure verdolini. I contorni dei corpi sono in parte resi mediante linee nere, in parte mediante ombreggiature. I contorni morbidi; i partiti di pieghe rigidi, triangolari; le proporzioni tarchiate delle figure sono ben lontane da opere della metà del IV sec. d. C., come gli affreschi della Farnesina già ricordati, metre corrispondono piuttosto alle figure della tomba presso S. Sebastiano (la c. d. Domus Petri), già del terzo venticinquennio del IV secolo, o a quelle di alcune pitture di catacombe dello stesso periodo (cfr. M. Colagrossi, Bull. Arch. Crist., 15, 1909, pag. 51 ss.). La parentela è particolarmente evidente nelle teste dal profilo rotondo, l’attacco dei capelli rettilineo, negli occhi orlati di nero, simili a “occhiali”, nelle bocche e nei nasi, resi soltanto con pochi tratti scuri. L’affresco con Perseo e Andromeda appartiene quindi anch’esso al terzo venticinquennio del secolo; una delimitazione più precisa di questa data sembra possibile.

Lo schema compositivo della scena si distacca da quello di tutte le precedenti versioni dello stesso mito, riconducibili, nei due tipi attestati dalle pitture pompeiane (v. sopra) e dai mosaici, più tardi, di Antiochia, Tunisi etc. (cfr. D. Levi, Antioch Mosaic Pavements, 1947, pag. 150 ss., tav. 29), alla pittura eseguita da Nicia in Atene.

L’Andromeda delle pendici del Campidoglio ricorda nello slancio del movimento e nella mano destra allungata il primo tipo; al secondo rinvia piuttosto la posizione del braccio sinistro. La posizione delle gambe del Perseo, qui fraintesa dal pittore, deriva dalle pitture pompeiane, mentre il suo costume, il berretto frigio, il mantello sulle spalle e intorno alla parte inferiore del corpo si distaccano da ambedue i tipi che appaiono una aggiunta posteriore. Il cesto dietro Andromeda si ritrova anche sui mosaici di Antiochia e rappresenta, come il cofanetto delle gioie nell’altro tipo, una allusione alle nozze. Nel dipinto si fondono quindi elementi di ambedue i tipi correnti con aggiunte peculiari; esso, che rappresenta la più tarda composizione mitologica della pittura romana, costituisce un importante indizio per la sopravvivenza della tradizione antica nel IV sec. d. C.

Bibl.: A. MUNOZ-A. M. COLINI, Campidoglio (1930), pag. 73 ss., tav. 112; G. BATTAGLIA, Capitolium, 9, 1933, pag. 456 ss.; M. BORDA, La pittura romana (1958), pag. 364 s.; G. KOLLWITZ, Akten des 7. intern. Kongresses für christl. Archäologie Trier 1965 (1969), pag. 153, fig. 108.

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